lunedì 16 ottobre 2017

Vicende e bizzarrie del gioco del lotto a Piacenza

PIAZZA CAVALLI PIACENZA
Vicende e bizzarrie del gioco del lotto a Piacenza A Piacenza si giocava al lotto, nell’ambito  della legge, già prima del 1731, durante  il dominio dei Farnese. Vi sono “grida”  e memorie che trattano del gioco del “Seminario”  a Piacenza concesso in impresa  a favore di certo Antonio Giacoboni  da S. Sebastiano di Tortona ed altre  che lo assegnano in appalto a tale Alessandro Betti.
Dieci e Lotto, Lotto più, Lotto on line: l’informatica è entrata di prepotenza  nel gioco più popolare per gli italiani, anzi, come sovente accade  nei periodi di crisi, il numero delle giocate è aumentato ed è stato affiancato  da decine di “gratta e vinci” per cullare i sogni di ricchezza dei più indigenti. Ma si sa: la fortuna è cieca e per qualche raro soggetto che ne viene toccato,  milioni di altri rimangono a “bocca asciutta” o si devono accontentare  di vincite irrisorie e alla fine, come sempre, vince lo Stato,  che questa ricca torta se la gestisce direttamente  o con cospicue percentuali di prelievo per le scommesse  (oggi si punta praticamente su tutto!) date in concessione.  Non a caso, la notizia è recentissima, passa dal 6% al 12%  per le vincite eccedenti i 500 Euro. Per questo, in considerazione del fatto che ci dilettiamo a riscoprire  usi e costumi dei nostri antenati, quelli di una Piacenza povera,  di necessariamente austeri costumi, ma  autenticamente popolare, torniamo indietro nel tempo, quando ai botteghini del lotto, la titolare  (e le commesse), trascrivevano per ore ed ore, le giocate degli scommettitori.“
La massima affluenza si concentrava al giovedì e venerdì (in vista dell’estrazione del sabato), addirittura con lunghe file fuori dalle ricevitorie, soprattutto quando “saliva la febbre” per qualche numero ritardatario. Poi le estrazioni del Lotto sono diventate tre (21 giugno 2005), dato che fino a quel momento avvenivano due volte alla settimana, ogni mercoledì e sabato. Le estrazioni bisettimanali a loro volta erano state introdotte nel 1997. Seguiva la spasmodica attesa delle estrazioni che, quando ancora non c’era la radio, venivano pubblicati sui appositi bollettini, consultabili in molti locali pubblici e, ovviamente, all’interno delle stesse ricevitorie.  Il gioco d’azzardo che per primo fu adottato a sistema di fonte di introiti per lo Stato, fu il lotto, chiamato allora “Seminario” ed ebbe origine nel 1550, con il patrizio genovese Benedetto Gentile che si ispirò all’estrazione dei cinque noni tra i 134 senatori e maggiorenti di coloro che dovevano reggere, avvicendandosi ogni sei mesi, il Governo della repubblica di Genova. In seguito il “Seminario” gestito da un’impresa camerale per conto del Governo, si perfezionò, riducendo la lista dei nomi da 134 a 90 ed in meno di dieci anni il Lotto di Genova, modificato nella forma, si estese anche a Milano, Venezia e Napoli, basando le giocate su 90 nomi di oggetti, fiumi e mari.  Il “Seminario”, sia che fosse gestito direttamente dallo Stato o concesso in appalto, fu regolato da opportune norme raccolte in “grida” che assicuravano le garanzie degli scommettitori clandestini ed ai loro complici, i giocatori ovviamente.
Il successo del lotto fu tale che alle ricevitorie dei “Seminari” si presentavano a puntare anche i forestieri con grave danno per le finanze degli Stati a cui appartenevano quegli scommettitori i quali portavano fuori dai confini molta moneta sonante, non cartacea.  Nel 1660 lo Stato Pontificio, trovandosi in un periodo economicamente poco florido, non riuscendo ad esigere le imposte ai propri sudditi, indirizzò anatemi contro il lotto, considerandolo invenzione del diavolo e stabilendo che fosse peccato gravissimo praticarlo. I Papi minacciarono di scomunica gli scommettitori ed i ricevitori delle scommesse. Ma quei severi ammonimenti non valsero però a sradicare l’abitudine, giacché le cose proibite divennero più adescanti e dilettevoli anche per i più osservanti della religiosità di maniera. Pertanto nello stesso Stato Pontificio si continuò a giocare malgrado le scomuniche e le pene comminate, tanto che Innocenzo XIII°, nel 1722, pensò di convogliare proficuamente l’ormai radicata consuetudine con buon profitto per le finanze dello Stato ed autorizzò l’apertura di un Banco di Roma, dietro congruo rispettivo al fisco che devolse successivamente il guadagno in opere caritatevoli. Più tardi, per esempio, Pio VI°, assegnò i proventi del lotto ai lavori di bonifica delle Paludi Pontine. Ciò indusse i “Seminari” degli altri Stati a correre ai ripari escogitando puntate sugli ambi e sui terni ed aumentando il monte delle vincite per riguadagnare in loro favore gli scommettitori sottrattigli dallo Stato Pontificio. In seguito, com’è noto, il lotto divenne in tutta Italia istituzione statale. A Piacenza si giocava al lotto, nell’ambito della legge, già prima del 1731, durante il dominio dei Farnese. Vi sono “grida” e memorie che trattano del gioco del “Seminario” a Piacenza concesso in impresa a favore di certo Antonio Giacoboni da S. Sebastiano di Tortona ed altre che lo assegnano in appalto a tale Alessandro Betti. Sembra più probabile il fatto che non esistessero in Piacenza vere e proprie ricevitorie ma solo “collettori per giochi” praticati nei “Seminari” di Roma, Genova e Milano.
La prima estrazione certa relativa alle giocate effettuate a Piacenza, i cui atti sono conservati nel nostro archivio comunale, reca la data 1755 (indizione 3°) die 14 del mese di agosto. Regio amministratore generale dell’Impresa del “Seminario” del lotto era il funzionario Ugo Politi.Ricevevano le giocate non sui numeri, ma sui nomi di 90 “putte” (zitelle da marito). Per stabilire le vincite venivano estratti 5 nomi: quelli delle zitelle prescelte, venivano premiati con la dote di 100 lire in moneta corrente. L’estrazione avveniva di massima ogni due mesi nelle forme e con le garanzie prevista dalle “grida”, eseguendo “l’imbussolamento” dei biglietti “in faccia a tutto il popolo”, sulla piazza, davanti il palco. L’urna contenente i 90 nomi delle “putte” veniva prima benedetta da un prete con lume, cotta, stola ed acquasanta, poi rivoltata sottosopra più volte, quindi un putto minore di sette anni, benedetto a sua volta, fattosi il segno della croce a garanzia di totale onestà, estraeva con una sola mano, ad una ad una, le cinque palle contenenti i nomi delle fortunate “zitelle”.  E’ difficile stabilire l’assommare dei premi di allora perché non esistono precisi e documentati riferimenti. E’ però accertato che i profitti per il duca non erano redditizi come ci si attendeva e perciò dopo una serie di estrazioni, non se ne effettuarono altre. Piuttosto se ne utilizzavano altre diverse dai “Seminari”, avanti piuttosto forma di lotteria, ma erano preclusi al popolo “minuto” ed avevano carattere riservato, costituendo esclusivo “dilettevole trattenimento per la nobiltà e loro familiari”. Il lotto si rigiocò a Piacenza durante la repubblica francese, ripristinando il precedente lotto delle “zitelle”. Lo si evince bene nella stampa della “tombola pubblica” da un’incisione francese dei primi dell’800.
antico bancolotto
Con il Lotto si è vinto poco. “Zazzo”  s'indebitò festeggiando:  per scherzo il biglietto fu contraffatto Prosegue il nostro viaggio sul gioco del lotto a  Piacenza. Si rigiocò in città durante la  repubblica francese, ripristinando  il precedente "Lotto delle zitelle"  e durante il primo impero.  Venne poi fatto cessare nel 1848...
Il lotto si rigiocò a Piacenza durante la repubblica francese,  ripristinando il precedente Lotto delle zitelle (atto del  1° Nevoso,anno XII° della Repubblica) e durante il primo impero.  Sotto il regno di Maria Luigia, dopo breve periodo in cui si effettuò  il lotto con estrazione  dei numeri, si ritornò  al vecchio “Seminario delle zitelle”  (ovvero con i nomi) e questa  circostanza fa ritenere  che tale forma di giocata  fosse più popolare  e gradita ai piacentini. Il lotto a Piacenza venne  fatto cessare nell’aprile  del 1848 dal Governo  provvisorio che lo abolì  con decreto del 19 aprile dichiarandolo “istituzione immorale  e non degno di un popolo  libero e civile”. Ma “provvisorio” il Governo, fu tale anche il Decreto,  per cui i piacentini ricominciarono a giocare con maggiore foga  durante quello successivo, sia in città che nei centri delle provincia  dove vennero istallati molti banchi.  Il regno d’Italia adottò il gioco nel 1863 denominandolo  “lotto pubblico” e regolamentandolo  in una forma che, salvo lievi modificazioni,  vige tutt’ora, articolato sul sistema dell’estrazione settimanale  di cinque numeri compresi  tra l’uno ed il 90, da giocarsi sui nomi di dieci città,  in combinazioni di primi estratti,  ambi, ambate, terni, quaterne e cinquine.
„Com’è ben noto nella babele casistico- aritmetica,  vincere cifre notevoli è molto improbabile,  ma l’illusione è sorella della speranza e l’una sostiene  l’altra nel gioco della vita. Si sa per certo  che in talune città, per puntare sui numeri ritardatari,  qualcuno portava anche la biancheria  al banco dei pegni! Nella nostra provincia  esistevano, oltre 50 anni fa, nove banchi lotto,  cinque in città ed uno  nei seguenti paesi:  Castelsangiovanni, Bobbio, Fiorenzuola e Borgonovo.  L’incasso medio di quelli in città, variava secondo  le stagioni (d’inverno si giocava di più,  forse perché le notti più lunghe sono prolifiche  di sogni ispiratori) e secondo le vincite  verificatesi nelle settimane precedenti.  Nel 1958 a Fiorenzuola venne giocata una  quaterna che vinse ben 32 milioni di lire,  somma che prima d’allora non era mai stata  conseguita nella nostra provincia e città. “
la smorfia
„Al lotto è intimamente collegata la cabala,  con la quale, interpretando sogni e fatti,  si ricavano i numeri da giocare,  Celebri cabalisti furono  Rutilio Benincasa che compose  l’almanacco perpetuo per vincere al lotto;  Pico della Mirandola,  dei numeri ciclici;  l’astronomo Holstein creatore della cabala  numerica astro fera;  il padre gesuita Leonardo della Croce  che svelò il sistema scientifico  delle nove tavole misteriose e  segrete dei padri della Società  di Gesù e certo Torracca detto  “il monco di S. Ferdinando”  il quale, negli anni ’30, indovinò  cinque volte consecutive quattro  terni ed una cinquina. Fortuna?  Profeta della cabala? Chi lo sa!   Comunque c’è sempre stato e sempre  ci sarà, chi crede e giura sull’efficacia  dei sogni e dei sistemi riportati dalle  pubblicazioni “specializzate”  nella scienza della buona fortuna  le quali parlano di cadenze e numeri  vertibili, sincroni, simpatici, ritardatari,  periodici ecc. Questi patiti del Lotto scientifico  disdegnavano le tombole, le lotterie  ed i vari totalizzatori. Ma molti ancora  oggi ascoltano sedicenti maghi  consigliare numeri fortunati!“
zazzo
Eppure a Piacenza si ricordava che un nostro concittadino  vinse parecchi milioni (d’anteguerra) alla famosa Lotteria di Tripoli  e che altri ne furono vinti da un ufficiale dell’esercito di stanza  nella nostra città. Il lotto a Piacenza ha avuto comunque una storia  poco felice di vincite, a parte una burla che fece epoca  negli anni ’30 e che ebbe protagonista, suo malgrado,  una giocosa  “macchietta” detto “’l Zazzo”. Era un operaio  tipografo (lo vediamo raffigurato dalla “magica matita” di Roberto Badini);  mediante un’accurata manipolazione di un biglietto giocato  in compagnia di un altro socio appassionato come lui,  gli fecero credere che avesse azzeccato un terno secco  di importo per quei tempi assai cospicuo. Quasi impazzito  dalla gioia, si fece prestare da un compagno di lavoro  una congrua somma di danaro, noleggiò una carrozza  ed insieme ad amici abituali o occasionali scrocconi, se ne  andò a spasso tutta la giornata passando da un’osteria  all’altra, bevendo, mangiando e cantando in grande allegria. Il costo della baldoria non fu certo esiguo per un proletario  come lui dalla striminzita busta paga, ma la presunta  vincita consentiva e giustificava i festeggiamenti.  Ma quando si presentò al botteghino  del lotto per riscuotere la vincita, esibendo il biglietto,  con sua incredibile sorpresa gli fu fatto notare che i numeri non  corrispondevano affatto al bollettario della ricevitoria,  l’unico che fa fede agli effetti del regolamento.Così prostrato, a prezzo di molti sacrifici, dovette rifondere  a rate la somma prestatagli, ma “Zazzo”, per quanto tipo  strambo ed imprevedibile, pagò fino all’ultimo centesimo  il debito contratto, assaporando fino in fondo “il piacere dell’onestà”.  Nel 1800 la polemica contro il gioco del lotto fu assai vivace.  Il poeta satirico Giuseppe Giusti fu uno dei più accaniti censori  dell’Azzardo di Stato”, bollando a fuoco i governi sfruttatori  della miseria del popolo; il giornale socialista “L’Avanti”  pubblicava l’estrazione sotto il titolo “La Bisca dello Stato”. Molti proverbi sono stati forgiati pro o contro il Lotto.  Ne citiamo alcuni a sostegno delle diverse posizioni:  “Chi dal gioco aspetta soccorso, mette il pelo come un orso”  oppure “Chi gioca al Lotto, in rovina va di botto”  ed il più conosciuto “Chi non risica, non rosica”,  ovvero per vincere bisogna tentare.  Polemiche a parte il Lotto ha attraversato tranquillo  i secoli ed ancora oggi le scommesse aumentano sempre più.  Il detto piacentino “la speranza di nud ca faga un buon inveran”  (intendendo la stagione delle vincite) è più che mai attuale…


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