venerdì 16 novembre 2018

Il bancolotto ad Avellino: le origini del gioco in Irpinia

il gioco del lotto in irpinia
Il giuoco del lotto, apparso nel XVI secolo a Genova, ben presto si diffuse nelle altre città. A Napoli vi giunse nel 1682 diffondesi ben presto in tutto l’esteso regno. In Avellino l’uso e la passione per la “Bonaficiata”, così chiamato dal popolo il Lotto, è testimoniato in un documento segnalato dalla ricercatrice Valia Colella, predisposto alla fine del Settecento, nel quale sono indicate anche le modalità per sfidare i capricci della dea bendata.
 Il singolare documento, redatto il 22 dicembre 1782 Notaio Vincenzo Santoro, assistito dal Giudice a Contratto, il Magnifico Don Giuseppe Lallo, fu rogato alla presenza del Dottore Fisico Don Nicola Ricciardelli, di Nicola Lombardo e Giuseppe Frasca, tutti indicati quali testimoni intervenuti all’inusuale atto. Il Giudice Lallo ed i testimoni presenti convalidavano quanto deposto da un gruppo di cittadini avellinesi, tutti degni di fede, i quali illustrarono regole e modalità del giuoco del lotto.
I presenti affermarono che tale giuoco in Avellino è “costume inveterato” e ben noto. Ciò indica il remoto ricorso al giuoco, tra l’altro, molto diffuso nel popolo minuto e, non solo. I presenti precisarono, altresì, che qualora i giocatori assentano (prenotano) i biglietti a credito, hanno la facoltà di saldare il pagamento sino alle ore due della sera (verso le ore 18di oggi) del giorno in cui avviene l’estrazione. Questa facoltà, secondo il regolamento vigente nella città dei Caracciolo, è riservata al libero arbitrio e “condiscendenza” del Postiero, il quale potrà vendere i biglietti non soddisfatti dal pagamento, oppure accaparrati e “non complimentati secondo l’importo del gioco”.
L’atto del Notaio Santoro si rese necessario per risolvere un caso controverso segnalato da un nostro concittadino, distratto nel pagamento del biglietto prenotato. A dare certezza sulle regole “dell’inveterato costume” che si pratica in città, sono molti artigiani del futuro capoluogo napoleonico, come il maestro Modestino Spagnuolo di Costantino, il maestro Pietro de Feo, il maestro Sabato Somma, Domenico Spagnuolo, Antonio e Pasquale Iandolo di Modestino e Vincenzo d’Argenio, tutti di Avellino e ben edotti sulle modalità della impari sfida contro la capricciosa fortuna. Costoro costituivano il folto ceto che lo storico Raffaele Valagara lo annovera tra coloro che animavano la “Città di piazza” in contrapposizione con la “Città delle Toghe” che Avellino assumerà dopo il 1806, quando avvenne la sua elevazione a capoluogo di provincia.
I maestri conoscitori delle regole del giuoco della “Bonaficiata” costituivano con le loro attività, l’anima produttiva nelle arti, nei mestieri e nel commercio. Tra essi erano presenti, artisti come gli armieri (ben 27 nel 1814), cardatori, tessitori e azzimatori del prezioso “bordiglione”, il famoso pannilana prodotto in Avellino e, poi, arrotini, ramai, seggiolari, guarnamentari, fabbricanti di carrozze, assai rinomate nel Regno, e tante altre attività che hanno fatto progredire Avellino nel corso dei secoli passati.  Condividi con:

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