venerdì 2 ottobre 2015

il MONCO di SAN FERDINANDO: IGNAZIO TORRACA il RE della CABALA

il MONCO di SAN FERDINANDO: IGNAZIO TORRACA
A San Ferdinando di Puglia il “monco” declama un ambo vincente alla folla, La Tribuna Illustrata, 21 febbraio 1926
il monco di san ferdinandio
il monco di san ferdinandio
il monco di san ferdinandio
il monco di san ferdinandio
il monco di san ferdinandio
Quando Ignazio Torraca morì, ad accompagnarlo al cimitero di San Ferdinando di Puglia furono in pochi. Qualche vecchio amico che con lui amava degustare un buon bicchiere di vino pensando al tempo in cui il nome di Ignazio Torraca comparve su tutti  giornali italiani e il centro balzò alla ribalta della notorietà. Chi era Ignazio Torraca? In pochi ricordano oggi il suo nome, ma nel 1926 questo semianalfabeta portò la rivoluzione in molte case, minacciò di sbancare lo Stato e, quando la sua stella si spense, fece versare fiumi d’inchiostro sul suo insolito caso. Qual era, dunque, la straordinaria capacità di quest’uomo che produsse un vasto fenomeno di follia collettiva e tolse la pace e il sonno agli abitanti del noto, allora, centro vinicolo pugliese, oggi famoso soprattutto per una fortunata Sagra del Carciofo. Ignazio Torraca sognava numeri al lotto. Per un lungo periodo questi numeri non uscivano, poi le cose cambiarono: i numeri sognati venivano puntualmente estratti sulla ruota da lui indicata. Ebbe inizio, allora, la pazza corsa ai botteghini del lotto… - Per chi non avesse mai sentito parlare del monco e del metodo scrivo qualche informazione: Chi era questo monco? Era un nullatenente di nome Ignazio Torraca che abitava a San Ferdinando di Puglia negli anni 20. Lo chiamavano il monco perché durante la festa del paese gli è venuta a mancare una mano a causa di una bomba. Il monco per 20 estrazioni di fila ha fatto vincere mezza Italia. La gente veniva da tutto il mondo per avere i numeri del monco. Allora Mussolini, per non rovinare le casse dello Stato, tolse un numero alla ruota.
IGNAZIO TORRACA: IL MONCO DI SAN FERDINANDO Nacque nel 1872 a San Ferdinando di Puglia. Nel 1925, in un incidente sul lavoro, subì l’amputazione traumatica di un braccio. Non potendo più lavorare, passava il suo tempo a “studiare” (pur essendo semi¬analfabeta) le Estrazioni del LOTTO. Parlando con alcuni amici, affermò di avere scoperto un metodo per “prevedere” i numeri che sarebbero sortiti il sabato successivo, “manipolando”, con i suoi strani e incomprensibili calcoli, i numeri estratti il sabato precedente. La cosa curiosa era che “azzeccava” quasi sempre le sue previsioni. La sua fama di “previsionista” si sparse in tutta San Ferdinando, poi in tutta la Puglia, e poi in tutta Italia. La notte di Natale del 1925 indicò UN AMBO che “sarebbe uscito” il 2 gennaio 1926; cosa che avvenne regolarmente! Alla estrazione successiva, il 9 gennaio, “azzeccò” un altro AMBO. Gli inviati di numerosi giornali italiani facevano a gara per intervistarlo. Ad alcuni di essi, Torraca “rivelò” che nella estrazione del 23 gennaio 1926 sarebbe sortito, in una delle Ruote, il TERNO 21¬54¬82. Cosa che effettivamente si verificò! Avendo saputo di lui, Mussolini gli mandò una sua foto con dedica autografa! Torraca continuò ancora per qualche anno a vincere e a fare vincere. Ma, ad un certo punto, la sua “parabola” cominciò la fase discendente, ed egli non azzeccò più una “previsione”. La gente, ben presto, si dimenticò di lui. Ignazio Torraca morì, poverissimo, quasi novantenne, nel 1960
Antonio Baldini
Ignazio Torraca raccontato dallo scrittore rondista Antonio Baldini* San Ferdinando di Puglia Giovedì 11 febbraio (1926).
Tutto il paese di San Ferdinando da qualche settimana gira come impazzito intorno al monco (o’ stumbo) che dà i numeri a lotto. In paese, e per largo giro intorno al paese, nelle province di Bari e di Foggia, d’altro non si vive e d’altro non si parla. Se anche questa settimana Ignazio Torraca fa tanto di indovinare buoni numeri, non si sa quello che potrà succedere. Da qualche giorno corre voce che quelli di Andria meditino di fare un colpo trafugando a San Ferdinando il cabalista divinatore, e il Torraca è perciò guardato a vista notte e giorno dai suoi giannizzeri. Appena un forestiero s’avventura per via Borgo, dove è l’abitazione del monco, le donne escono fuori da tutte le porte a guardarlo in cagnesco. Il monco ha con sé, per segnale d’allarme, una tromba. L’altra notte una bimbetta, senza sapere quello che faceva, vi dette fiato, e giannizzeri e popolo gremirono la strada. Sono attesi rinforzi di pubblica sicurezza. A Foggia e a Bari sono state anche prese misure per regolare l’afflusso dei giocatori ai botteghini nelle giornate di domani e di sabato. Le autorità locali sono preoccupate: ciò che non toglie che anch’esse allegramente giochino e vincano. Sindaci, carabinieri, curati, il sottoprefetto di Foggia, l’intendente di Finanza, i ricevitori del lotto, un deputato, hanno giocato e hanno vinto. I sindaci della provincia hanno telegrafato a quello del fortunato paese, cav. Lopopolo, per avere buoni numeri in tempo, i farmacisti al farmacista, i parroci al parroco, i marescialli dei carabinieri al maresciallo. In questi ultimi dieci giorni l’ufficio postale di San Ferdinando ha sbrigato il lavoro di cinque anni. Da quando s’è cominciata a diffondere la notizia del terno vinto due settimane addietro, decine di migliaia di lettere, espressi, raccomandate e migliaia di telegrammi con risposta pagata sono pervenuti a San Ferdinando. Ignazio s’è trovato ben presto nell’impossibilità di sbrigare una corrispondenza di questa mole. Da qualche giorno, due ragionieri gli fanno, nelle ore libere d’ufficio, da segretari, ma non arrivano a leggere che una minima parte di tante missive.
Queste sono su per giù tutte di un tono. Tutti piangono miseria, raccontano i loro guai, si raccomandano al buon cuore del monco, e finiscono col promettere magnifiche ricompense. Storpi e mutilati si richiamano alla solidarietà del monco, ragazze senza dote, studenti che hanno dovuto interrompere gli studi, nobili che hanno avuto dei rovesci di fortuna sentono il bisogno di rivolgersi al cabalista, al divinatore, al mago, al taumaturgo. Solo a leggere gli indirizzi, i timbri dei paesi di provenienza e le testate delle buste c’è da strabiliare. Una principessa che alloggia in uno degli alberghi di Roma implora dal monco dei numeri, e ci sono buste della Camera dei Deputati. Non c’è regione d’Italia che non sia rappresentata. Telegrammi sono giunti da Nuova York, da Parigi, da Brusselle, d’italiani emigrati. Chi manda cinque o dieci lire, per le spese di posta, e chi più vistose regalie. Un tale scrive da un paese del Gargano per dire che, avendo saputo che il cabalista trascorre la sua vita solo con la madre e la sorella, offre loro illimitata ospitalità in casa sua. Né mancano proposte di matrimonio. Qualcuno ha mandato pacchi di cioccolata. L’ufficio postale di San Ferdinando è pieno di mucchi di lettere ancora giacenti e l’apparecchio telegrafico sviluppa all’infinito la sua strisciolina di carta per significare a tutte le ore la stessa cosa. Do un piccolo saggio di siffatto genere epistolare. (Da Campobasso). – Avendo appreso dal Giornale d’Italia lo spirito profetico del Sig. Ignazio Torraca di cotesta città, e del quale lei gode in special modo la fiducia devota, mi rivolgo alla sua cortesia perché mi voglia far sapere la sospirata quaterna di questa settimana che sarà data dal Sig. Torraca. Non mi chiami inopportuno: voglio anche io tentare la fortuna, e se mi riesce favorevole non sarò da meno degli altri nel fare il mio dovere. (Da Terni). – Lo scrivente è padre di 8 figli e non sa più come lottare per procurarle un pezzo di pane, così si rivolge a Lei che è il beniamino del Moncherino per avere sia pure un ambo che può essere anche utile a me. Scusi tanto dell’arbitrio che mi sono preso rivolgendo a Lei questa mia e ciò è stato perché ho letto sul Giornale d’Italia che Lei andando a Foggia ha dato a diversi i numeri del moncarino e per questo lo credo di animo generoso e buono e così spero che vorrà essere anche per i miei figli. Gli prevengo che qui il gioco finisce al venerdì sera.
(Da Roma). – Una famiglia pugliese numerosa di 11 persone priva di padre composta di sette donne e quattro maschi, tre dei quali piccoli, rivolge caldissima preghiera alla S. V. affinché il Sig. Torraca si degna far conoscere e tentare a tempo la fortuna al lotto coll’inviare dei numeri suoi promessi. Assicuriamo al Sig. Torraca adeguata ricompensa. Per una relativa risposta le accludo anche i medesimi francobolli. (Da Roma). – Impressionato da tanto clamore fatto intorno all’ormai celebre moncherino di S. Ferdinando di Puglia mi permetto disturbare Lei affinché possa usarmi la gentilezza di farmi recapitare la tanto attesa quaterna che sarebbe la 3 rivelazione del fenomeno cabalista. Perdoni il disturbo che credo, come per mia causa, ne avrà avuto già altro, e chissà quanto, da tutte le parti d’Italia nostra. Non le stupirà certo questa mia perché quando si tratta di avere una probabilità che può diventare certezza anche i più scettici si scuotono e l’odore di una buona vincita fa ardimentosi e anche seccanti. In caso di buona riuscita mi impegno a ricompensare degnamente il su citato disgraziato fisicamente ma tanto fortunato o per dir meglio portafortuna. Il capo dell’ufficio postale, che non ha vinto solo perché non ha voluto giocare (ma questa settimana anche lui giocherà), non sa più dove mettere le mai. Allegrissimo è per contro il procaccia che in due settimane ha vinto trentaquattro mila lire. Le ha riscosse stamane e mi fa vedere il pacco dei bigliettoni agitandomeli sotto il naso. Le vincite grosse sono poche: la maggiore è quella, in due volte, del comm. Piazzolla, di cinquecentoventicinque mila lire; poi vengono quelle del calzolaio Leone, dell’avv. Di Leo e del commerciante Fiordelisi, sopra le centomila lire. Molte sono quelle intorno alle ventimila. Chi ha vinto di meno si vergogna quasi di confessarlo. Il capoguardia del Comune mi diceva di non aver vinto niente; ho poi saputo che per lui quel niente erano seimila lire.
Mentre in tempi normali il botteghino di San Ferdinando incassava ogni settimana qualche cosa come sei o settecento lire, in queste ultime settimane ne ha incassate oltre diecimila: e questo è nulla perché le giocate più vistose i signorotti del luogo le vanno a fare, la sera del venerdì e la mattina del sabato, a Foggia, a Bari, a Trani, a Barletta. Il botteghino di San Ferdinando è affollato tutta la settimana, per quanto i numeri il monco li riveli per solito solo gli ultimi giorni: e questo succede perché i sanferdinandesi sono divenuti tutti un po’ cabalisti. Li vedi in piazza, che è una piazza immensa fatta apposta per fermarcisi a cabalizzare, con in mano i loro calepini dove hanno impostate le loro batterie, dove hanno costruito la loro piramide sulla base degli estratti dell’ultima ruota di Napoli. Sulle prime, gli altri tre o quattro cabalisti di grido in San Ferdinando masticavano male e pareva che avessero grandi obbiezioni da fare al monco. Ma dopo la vincita del terno hanno rinfoderato tutti i loro argomenti. Un impiegato del Comune, si schermiva, sorrideva, e diceva che la cabala del monco era una cabala rispettabile come tutte le altre , ma che in più il monco doveva essere direttamente assistito dagli Enti superiori, il che è fuori della retta cabala. A Napoli, vera mecca dei cabalisti, il monco viene sdegnosamente boicottato. Sulle pareti delle osterie, dei caffè, degli uffici, si vedevano scritti numeri e numeri, a matita. In terra, pezzi di bollette e di giocate stracciate. I numeri si respiravano nell’aria e cominciavano pian piano a girare per il cervello. Si notavano in giro facce di burloni e facce, molto scure: si sente che sarebbe terribile se la cosa si prolungasse. La gente, che la più parte dovrebbe lavorare i campi, passa la giornata in piazza: e all’ultimo momento impegna e vende per pochi soldi masserizie, lenzuola o sta una giornata senza mangiare per giocare i numeri. Un vizio poi chiama l’altro. Ed al circolo di San Ferdinando quello che si è vinto al lotto, si gioca al baccarat con la facilità con la quale si gioca il denaro che non è costato fatica: una Montecarlo villereccia e scalcinata. Una piazza di ciondoloni e girandoloni senza più mercato, sfibrata, eccitata, disorientata e solo beata di veder ogni tanto traversare in piazza lo Stumbo. Dicesi che il monco abbia minacciato il Governo, quando questo non si decida a portare la ferrovia da Trinitapoli a San Ferdinando, di sbancarlo a furia di terni e quaterne vinte dai sanferdinandesi.
Ignazio attraversa la piazza, scortato dalla guardia del corpo. Risponde misuratamente al saluto dei paesani. Tiene abitualmente il moncherino in tasca. La mano destra la perdette da ragazzo per acchiappare una bomba di carta in una festa di fuochi paesani. Ora gli hanno ordinata una mano meccanica all’istituto Rizzoli di Bologna. Da che è divenuto una illustrazione nazionale gli amici gli hanno fatto obbligo di farsi vedere in giro correttamente vestito di nero. Porta il cappello un po’ sugli occhi che hanno una sguardo nerissimo, di statura un poco sotto la media, procede fiero e impettito, ascolta molto, parla poco. Ha di quando in quando gesti risentiti. Nero di pelo, volto fortemente abbronzato, testa stretta e le labbra grosse e sporgenti, aride e quasi sempre dischiuse, ombreggiate dai baffi tagliati all’americana. Quando parla scopre degli sgradevoli denti color ruggine. Dicevano che era una persona normale, d’intelligenza comune, d’indole buona e generosa. In altri tempi fu segretario della Camera del Lavoro, parlava e si ascoltava volentieri, in piazza, sul palco della musica, e dicono che egli allora tenesse un po’ del tribuno. Ha 33 anni ed ha fatto la sesta elementare; non legge romanzi ma libri di matematica (dice lui), e di professione ha fatto il pedagogo, insegnando a leggere e a scrivere a qualche ragazzo, dietro compenso di 2-3 lire la settimana: con questo sosteneva la madre e la sorella. Afferma sempre di lavorare per il popolo, deplora che i forestieri e quelli che hanno già qualcosa si avvantaggino della sua divinazione: «Chi è barone si contenti di essere barone». Anche si preoccupa che un ricco facendo una puntata eccessiva possa guastare la felicità di tutti: «Se lei gioca 10.000 lire sbanca il Governo». Ho dovuto tranquillizzarlo.
la tavola del monco di san ferdinando
Quella TAVOLA  è nota come la “Tabella dei trappisti” un ordine religioso che, a cavallo degli anni ’50 era largamente presente nel Sud Italia. Qualche bontempone (usiamo questo termine per carità cristiana …) ha inteso spacciare questa tabella come eredità di un personaggio realmente esistito “Il Monco di San Ferdinando” (un disabile vissuto nel primo dopoguerra nel paese di San Ferdinando di Puglia), ricamandoci sopra storie e storielle di bassa tacca. Ma è un falso clamoroso. La tavola, che presentiamo, è opera di un non meglio identificato frate “trappista” e ve ne è ampia traccia tra gli studiosi “seri” ed i cultori del lotto.

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