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la STORIA del GIOCO del LOTTO RACCONTATA ATTRAVERSO le FOTOGRAFIE

mercoledì 24 gennaio 2018

GESTORI E PERSONAGGI DEL BANCOLOTTO

Aprì il primo Banco Lotto a Termoli, addio a Pio Iadanza
TERMOLI. Termoli saluta un altro personaggio a suo modo storico.: 86 anni Pio Ladanza. Assieme alla sua famiglia, originaria di Pietrelcina,  come era facile intuire dal nome di battesimo (ora proseguono i suoi figli)  è stato il titolare del primo e unico vecchio Banco Lotto in città, dove  i termolesi si affidavano ai sogni e alla fortuna, anche letteralmente,  per sperare in una vita in quegli anni difficili, inseguendo  ambi, terni, quaterne e cinquine. Con la consorte Maria Pia scrivevano  tutti i giorni, dalla mattina alla sera, le bollette a seconda  di come volevano giocare i termolesi e - si badi bene - una volta  si giocava solo un giorno alla settimana, il sabato, però la gente  in attesa delle estrazioni che avvenivano il sabato dopo il mezzogiorno,  visibili in tv dopo il tg delle 13.30, giocavano durante tutta la settimana.
La vecchia sede di via XX settembre
Ricordiamo il signor Pio dietro il banco di legno del piccolo locale  in via XX settembre 53, con la sua penna a sfera Bic inchiostro  nero, ascoltava le richieste e scriveva in numeri con una  splendida grafia, in modo ordinato sulle ricevute. Una volta  esaudite le richieste, con quel righello di metallo usato  Totocalcio e Totip, tagliava le schedine, per farle consegnare  dalla figlia al cliente e la matrice restava al banco.  Erano talmente bravi, lui e la signora, a scrivere con  celerità che difficilmente, specie al sabato giorno  dell'estrazione, si facevano code di persone ad aspettare  il proprio turno. Persone sempre a modo.  Passando oggi davanti alla sede moderna di via IV novembre  e vedendo le saracinesche abbassate, una cosa inusuale,  abbiamo subito intuito che fosse accaduto qualcosa.  Pio era davvero una brava persona, ha visto l'espansione  della città, toccato con mano le speranze, le gioie e anche  le disillusioni di tanti termolesi, quando il gioco  del lotto era uno dei pochissimi giochi e forse l’unico  svago per i cittadini che si stavano risollevando dal periodo post bellico.
IL GIOCO DEL LOTTO NEL BERGAMASCO
a foto ritrae alcuni commercianti lanieri di Gandino saliti a vendere le loro lane a Goteborg, in Svezia, che nel 1862 era uno dei luoghi più affermati del mercato laniero europeo.Tra di essi un discendente di Rocco Rottigni, gestore del LOTTO e antenato della signora Dionisia Rottigni e Lucia Rottigni Tamanza. Una vecchia foto, il GIOCO del LOTTO, la Valgandino e un sacerdote, morto in odore di santità, benefattore di Ugo Foscolo. Storie antiche, diverse ed anche contraddittorie, con protagonisti i membri di una stessa famiglia. Il LOTTO dunque ha avuto risonanze storiche anche in Bergamasca, appunto in Val Gandino, in quanto concessionari del gioco, furono ricchi mercanti di pannilana che tanto seppero conquistare credito e fama in Austria, Ungheria e Germania, ma che persero molto denaro nella gestione del LOTTO.Insomma anche allora la passione per la cabala si rivelò un’infida impresa. La fotografia scattata nel 1862 è legata allla vicenda che stiamo per raccontare in quanto nel gruppo di lanieri gandinesi, in bella posa davanti all’obiettivo del fotografo di Göteborg, dove erano saliti per commerciare le loro lane, c’è anche un bisavolo della signora Lucia Rottigni Tamanza che ci ha inviato la preziosa immagine e una ricca documentazione.Il GIOCO del LOTTO, d’antica istituzione (pare che abbia avuto origine a Genova nel XVI secolo quando si scommetteva sull’annuale sorteggio dei cinque senatori della Repubblica tra 90 candidati), sta conoscendo di questi tempi una nuova giovinezza per via di quel Superenalotto che mette in palio cifre da capogiro e che su questa nuova «follia collettiva» degli italiani ha scomodato esperti in statistica, sociologia, costume, morale.Una mania che però rivela anche un altro risvolto dove protagonista diventa, oltre alla cabala, anche la magistratura che ogni giorno, è cronaca fresca, tira fuori nuovi episodi del colossale imbroglio allestito attorno alle ESTRAZIONI del LOTTO. Davvero niente di nuovo sotto il sole: nei primi decenni del secolo scorso anche i bergamaschi furono protagonisti di un’ingegnosa truffa ai danni del governo austriaco quando i NUMERI della RUOTA di BERGAMO venivano segnalati al «CENTRO LOTTO» di Milano prima della chiusura delle giocate, dando luogo a consistenti vincite.
Ma la storia che riguarda il LOTTO e la Val Gandino è ancora più antica risalendo infatti ai tempi dell’impero di Maria Luisa d’Austria che con un editto promulgato il primo febbraio del 1757, concedeva ai fratelli Rottigni, il più anziano era Rocco, peraltro già concessionari di imprese e negozi dello Stato di Milano, un privilegio-pagato salatissimo anche a quei tempi- che comprendeva l’appalto del sale e del cosiddetto «GIOCO del LOTTO di GENOVA».Ma l’impresa non finì bene. Del resto Maria Teresa d’Austria nel suo editto aveva ben messo in guardia gli industriosi gandinesi: «Concediamo alli detti fermieri generali di Milano un privilegio privativo per il restante tempo pattuito cioè fino all’ultimo di marzo 1762 , dentro del qual tempo potranno continuare il cosidetto GIOCO del LOTTO di GENOVA a loro rischio, pericolo e così a loro guadagno e perdita…».  Restò solo il rischio perché l’ipotizzato guadagno con la GESTIONE del LOTTO di Genova non ci fu affatto e finì non troppo bene per Rocco Rottigni che si trovò alla fine, con la batosta finanziaria subita, impegolato in un processo per fallimento.Insomma, se una lezione si può trarre dall’esperienza infausta del Rottigni, che per altro ebbe meriti notevoli per l’ardire di certe sue imprese e per certe innovazioni apportate nei mercati di quei tempi, è che ancor oggi bisogna saper resistere alle lusinghe di un gioco spesso infido.

“U figlio ‘ddu pustière”
“U figlio ‘ddu pustière”  di Peppe D’Urzo  Il lotto è un gioco di sorte che risale, probabilmente, a prima dell’unità d’Italia (Regno d’Italia, 17 marzo 1861); in Italia è gestito dallo stato in regime di monopolio e che consiste nell’estrazione di cinque tra i primi novanta numeri, con vincite in denaro; ci sono stati anche periodi in cui il governo elargiva, per i fortunati vincitori, anche beni immobili ed in natura.  A Torre del Greco i primi “bancolotti” (uffici dove si ricevevano le giocate) sono sorti, se la memoria non ci inganna, al corso Umberto I, in via D. Colamarino, p.zza L. Palomba e, man mano, in altri punti della città.  Attualmente chi continua, ma per pura passione, a svolgere l’attività di gestore, ereditandola per tradizione familiare, è Stanislao Raiola, nato a Torre del Greco il 09.02.1926, da Martorelli Concetta e da Giuseppe, detto “Raimir” (1897-1982), poeta, scrittore e musico, nato, vissuto e morto nella nostra città.). Giuseppe era ricordato anche come “‘U pustière“, cioè impiegato del bancolotto, il ricevitore delle puntate. Partecipò alla prima guerra mondiale e fu fatto prigioniero (internato); ex tranviere con biglietto “gratis” ai concittadini; lavorò, in seguito, nei locali, come gestore del lotto, al c.so Umberto I (di fronte alla Chiesa del Rosario, attuale civico 93); nei pressi dell’attuale Banca di Credito Popolare (al civico 7, il cui titolare si trasferì all’inizio di via Gradoni e Canali e in questo locale, gestito da Cimmino, si vendeva in precedenza la lana); nella ridente cittadina costiera di Massalubrense (NA), e di nuovo al c.so Umberto I n. 51, quasi al centro del corso (“‘Mrniez a San Gaetano“, al presente “Lotto, Superenalotto, Totip, lotterie, ecc.  Stanislao (“Stanise”), originario dl I° vico Orto Contessa, frequentò le scuole elementari in via Teatro, attiguo allo storico e mitico teatro Garibaldi; indossò, come la dottrina pragmatica dell’epoca esigeva, la divisa da balilla, partecipando a varie esercitazioni e manifestazioni; poi la scuola d’avviamento al v.le Castelluccio (preside Grillo).  A dodici anni, emulo del padre, imparò il mestiere, cominciando già a trascrivere le “cupielle” (copie dei numeri sulle matrici).
Ricevitoria n. 161 al c.so Umberto 1 n. 51,
Dal dopoguerra riprese a lavorare col padre; l’1.06.1948 fu assunto come impiegato per concorso del Ministero delle Finanze, nella  Ricevitoria n. 161 al c.so Umberto 1 n. 51, fino al 1952; poi, alla Ricevitoria n. 162 in via D. Colamarino; reggente a Napoli, zona Sanità al Supportico Lopez; di nuovo a Torre; nel 1972 la nomina a ricevitore in quel di Isernia, Castellammare di Stabia ed infine a Torre. In pensione dal 1987.  Milite esente, coniugato con Maria Sorrentino; sei figlie femmine, di cui tre collaborano e lavorano nell’attuale esercizio di ricevitoria.  “‘U figlio ‘ddu pustiere“, quasi ottantenne, ma con spirito giovanile, dal forte carattere, uomo navigato nell’esperienza, un po’ intrigante e scettico, precisa che i bancolotti, divenuti  ricevitorie negli anni ’50 e ’60, non sempre hanno avuto vita facile, portando gravi passivi al Governo; infatti, nel 1894 l’allora ministro delle Finanze, Borselli, relazionò al Re Umberto diversi reclami, dovuti alle tantissime anomalie da parte dei dipendenti che manomettevano le ricevute; furono queste ultime, in seguito, stampate con i dovuti importi; un’altra acuta osservazione: le giocate al lotto sono spesso frutto del caso; questo accade al sud Italia; al nord si è più calcolatori e si versano nelle casse dello Stato più soldi… Nella sua ricevitoria si sono registrate vincite importanti, ma mai di grossa entità
ALGHERO. Uno dei personaggi più conosciuti della città per aver svolto per circa sessant’anni l'attività di gestore del Banco Lotto prima e Lotto in tempi più recenti, Nicolino Patta, è morto nei giorni scorsi. Aveva 89 anni e aveva passato la sua vita al servizio della gente. Negli anni 50, in veste di dipendente dell'Intendenza di Finanza, aveva aperto la ricevitoria, la numero 1, la prima in assoluto di Alghero, in via Gilbert Ferret, successivamente in via Sassari, dove si trova ora ed è gestita dai figli. Una delle caratteristiche di Nicolino Patta era il sorriso, bonario, sempre disponibile, discreto come la sua professione gli imponeva, un uomo di rara gentilezza, gran lavoratore. Una volta le bollette del Lotto si compilavano a mano e chissà quanti speranze, e forse anche fortune, sono passate tra le sue mani. Mai una piccola indiscrezione sui fortunati vincitori, alla curiosità della gente, e del cronista, rispondeva con quel suo sorriso che diceva tutto e impediva di insistere. Non è azzardato sostenere che con la scomparsa di “signor Nicolino” se ne va un pezzo di Alghero.(g.o.)
OZIERI. Si è spenta nei giorni scorsi, vigile e serena come aveva sempre vissuto, zia Cicita Fadda, che a ottobre avrebbe compiuto 101 anni. Nata nel 1912, Cicita Fadda ha attraversato un intero secolo tra la Grande Guerra, il Ventennio e la Seconda Guerra mandando avanti la casa e la famiglia come importante punto di riferimento. Sposata e madre di due figli, Franca e Agostino (Giudice di Pace a Pattada), aveva perso presto (nel 1964) il marito Cicito Cocco, che fu per anni vicepresidente dell’ospedale. Una vita agiata ma mai facile (ultima di sette fratelli, rimase orfana del padre a 4 anni), eppure un dna forte, che l’ha fatta arrivare sino ai cento anni vedendola continuare a coltivare la sua grande passione per il Lotto: la si vede nella foto mentre compila una delle sue ultime schedine.
 Di lui, da civile, sappiamo molto poco, solo che dopo aver frequentato le scuole dell'obbligo, lavorava nel Bancolotto poco distante da casa, al n.53
Risulta una relazione dei carabinieri al Prefetto di Siena il 14 Febbraio 1930 sulla opportunità di istituire a Staggia una ricevitoria del lotto: "Nella frazione di Staggia, esistono peraltro tre procaccia, i quali quotidianamente si recano, uno a Poggibonsi, uno a Colle Val d'Elsa, ed uno a Siena, centri questi in cui esiste il banco del lotto, e che distano da questa frazione rispettivamente 8, 7 e 18 Km." Danno quindi parere negativo, quindi a Staggia niente botteghino del lotto: chi voleva giocare o inforcava la bicicletta o incaricava il procaccia.
PESARO -  E’ morto a 81 anni Franco Terenzi,. Il suo talento nell’indovinare i numeri del gioco a pronostico è stato anche occasione di generosità per Terenzi che più volte, in momenti speciali, ha offerto pubblicamente le sue premonizioni. Lui stesso raccontava l’esordio fortunato nel mondo delle 11 ruote: i numeri di una targa appuntati e poi giocati. L’estrazione decretò il successo della sua intuizione che gli garantì anche vittorie molto importanti. In molti lo ricordano a “I fatti vostri” ospite di Giancarlo Magalli.
E' nata così la mia passione per il Lotto. Cominciai a giocare regolarmente, anche cifre più grosse (ma sempre divise in tante bollette da 10 mila lire), con vincite continue che il signor Tomassoli mi pagava in contanti quasi ogni settimana. Poi è arrivato il primo colpo grosso: 75 milioni tutti insieme. Però avevo giocato una bolletta più grossa e ho dovuto aspettare l'assegno della Banca d'Italia, che è arrivato più di un mese dopo. I numeri da giocare li ricavavo dalla mia attività: infatti ogni tanto, mentre eseguivo il mio lavoro, avevo l'impressione che alcune salme mi sorridessero, come per ringraziarmi di quello che stavo facendo per prepararle bene all'ultimo appuntamento. Allora giocavo i numeri corrispondenti al giorno del decesso, all'età del defunto, al numero civico dell'abitazione, ecc. E spesso vincevo cifre grosse, dai 30 ai 50 milioni per volta. Da un certo momento è stato come se la Fortuna si fosse innamorata di me. Tre anni fa, un altro venerdì mattina, prima di Pasqua, ho comprato due biglietti della piccola lotteria di un bar, che aveva in palio un uovo di Pasqua gigantesco e un grosso cesto di dolci: erano i numeri 35 e 59 di Napoli. Visto che avevo ancora in tasca 100 mila lire, sono passato alla ricevitoria Uguccioni di Piazza Redi e ho giocato gli stessi due numeri sulla ruota di Napoli. Il giorno dopo i due numeri erano di nuovo i primi estratti a Napoli, con una vincita totale di 25 milioni. Come se non bastasse, nello stesso pomeriggio vincevo anche i primi due premi della lotteria del bar.
Il colpo più grosso risale ai giorni prima del Natale scorso: con i numeri 17, 55, 90 e 29 sulla ruota di Milano ho messo insieme 103 milioni, corrispondenti a 48 ambi. In totale, ho vinto finora oltre 500 milioni, quasi tutti al Lotto, ma anche al Totocalcio, coi tredici delle schedine giocate in società con gli amici e un tredici solitario di 56 milioni. Ma al Totocalcio non ci credo troppo, anche perché (a differenza del Lotto) non posso sapere in partenza quale cifra si vince. Il mio sistema comunque è quello di leggere i pronostici del televideo o della Gazzetta dello Sport e invertire a caso tutti i segni. Però non va sempre bene. Ricordo che nel 1994 è morto il babbo di un parrucchiere amico mio: si chiamava Piermaria Igino. E' morto il 14 luglio alle ore 17.20, all'età di 81 anni. Ho lavorato molto quella sera, nella casa di Candelara, e di nuovo ho avuto l'impressione che quella povera salma mi sorridesse. Allora ho giocato 300 mila lire su terno e quaterna, ruota di Palermo, basandomi sulla "P" del cognome. E' uscita la quaterna 14-17-20-81, ma sulla ruota di Bari. Ho perso 24 miliardi, perché la quaterna paga 80 mila volte la cifra giocata. Se avessi almeno pensato di giocare quei numeri su tutte le ruote (anziché solo su Palermo) avrei comunque vinto 2,4 miliardi. A questo punto la mia fama di vincitore-record ha cominciato ad estendersi al di fuori di Pesaro; soprattutto dopo una partecipazione, nel 1994, al programma televisivo I Fatti Nostri di Giancarlo Magalli. Proprio qualche giorno prima di andare in TV avevo vinto anche un premio di consolazione di 50 milioni alla lotteria di Imola, collegata al Gran Premio automobilistico, con uno dei sei biglietti comprati da Uguccioni in Piazza Redi. Visto che ormai mi telefonavano da tutt'Italia (dalla Val d'Aosta a Ragusa), ho installato un numero telefonico speciale per dare i numeri a chi lo voleva. Ricordo una signora di Genova che ha vinto 10 milioni e mi ha mandato un assegno di centomila lire per ringraziarmi. C'è stata anche una settimana in cui ha vinto mezza Italia. Ma ho dovuto smettere dopo qualche mese perché non potevo più neanche dormire la notte. Molti mi raccontavano i loro sogni per ricavare i numeri. Ricevevo anche telefonate disperate, di povera gente che aveva un parente malato o altre disgrazie, che mi pregava piangendo di aiutarla. Adesso rispondo solo a qualche amico. Magari, se volete, posso scrivere una rubrica sullo Specchio per consigliare i vostri lettori...
GIACINTO PELUSO, UN UOMO BUONO E GARBATO - STORICO SCRUPOLOSO E INFATICABILE  Ha raccontato con passione fatti e figure della sua città:TARANTO
Ero già in pensione, e continuavo a scrivere per il “Giorno”. Ogni settimana una mia pagina: i locali storici, i teatri, la vita milanese di Stendhal, il salotto letterario della contessa Maffei, i miei incontri con il presidente Pertini al Savini, al ristorante “Il Grissino”, in una casa privata… E gli sollecitai informazioni sulle vicende del lotto a Taranto ai primi del ‘900 per un articolo che mi accingevo a scrivere su questo gioco dal punto di vista demologico. Me ne dette subito una buona dose. Arrivammo alla fermata in fondo a via Cesare Battisti, proprio di fronte al luogo in cui ero atteso, m’invitò a casa sua per un caffè. E continuò il discorso, accennando alla ricevitoria che si trovava nella via Maggiore della città vecchia, in una sola stanza angusta semibuia del Palazzo De Santis, assiepata di gente che puntava sulle disgrazie, su una scazzottata, su un matrimonio, sui sogni… che l’addetto smorfiava. Scommettevano tutti, ricchi e poveri. Poi aggiunse che i numeri estratti venivano stampati su foglietti colorati nella tipografia Lodeserto, a Palazzo Galeota, e affidati, per la diffusione, ai ragazzi che lavoravano al mercato della frutta e verdura di piazza Fontana.  Piazza Fontana negli anni 20, da un libro di Peluso. Gridavano “Tùtte le ruooote”, come, in tempi più recenti, Marche Polle, che, scarpinando, soprattutto in via D’Aquino nelle ore in cui l’andirivieni lievitava. Proponeva ‘”U panarjidde”, confezionato nella tipografia Leggieri, e incalzava, abbassando il tono, “A vuè ‘a schedìne?”. Peluso ne ha tracciato il profilo in uno dei suoi libri " TARANTO da un PONTE all'ALTRO".
Addio a Tantucci: imprenditore visionario e studioso delle alchimie del Lotto JESI - Si è spento improvvisamente Graziano Tantucci, 60 anni, Originario di Cingoli, viveva a San Marcello. Era conosciutissimo a Jesi, esperto del Lotto  tanto che aveva scritto un libro, “Lotto:il manuale dei giocatoridi tutto il mondo”,
Elfrida Domes assieme alle sue due sorelle a Pola in via Abbazia,gestivano il BANCO LOTTO e l'appalto, vicino all'entrata principale dell'Arsenale militare marittimo ed abitavano in via Minerva.Esuli da Pola nel febbraio del 1947 assieme a tutta la cittadinanza nella grande dimostrazione plebiscitaria di protesta contro l'assegnazione di Pola alla Jugoslavia, le sorelle Domes peregrinarono per l'Italia, sempre nella gestione del BANCO LOTTO, passando da San Lorenzo della Costa (Genova) a Vicenza, a Busalla a Varazze, a Pontremoli ed infine a Imperia dove terminarono la loro attività ritirandosi a vita private nella loro casa piena di ricordi di Pola
NAPOLI D'ALLORA

Pubblicato da Unknown alle 23:01 Nessun commento:
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Etichette: RICEVITORIE DEL LOTTO

giovedì 9 novembre 2017

RACCONTI sul GIOCO del LOTTO

IL CORAGGIO DEL TENENTE
Autore: Paolo Pozzi Preludio Giovedì 28 luglio, ore 15:07 – Insomma, Croccolo, la pianti con  queste scempiaggini da terzomondista!  Vada, vada… Il tenente Alessandro Croccolo sopporta stoicamente  l’insulto alla sua napoletanità  ed esce senza reagire dall’ufficio del suo superiore, il capitano Rizzi al terzo piano del Comando Provinciale dei Carabinieri di Milano  (con l’esercito di parenti di sua moglie, uno più padano e leghista dell’altro,  se Croccolo non fosse dotato com’è di partenopeo, filosofico self-control,  avrebbe già fatto “’na stragge”!). Eppure il tenente dentro di sé sa bene di avere ragione. Ha capito tutto,  ma sai che soddisfazione! Qualcuno tra poche ore verrà  e per colpa dell’ottusità di Rizzi non ci si potrà far nulla. A meno che….
Parte prima Sabato 2 luglio, ore 6:55 Al terzo lancinante squillo, Croccolo si trascina fuori dal letto  e imprecando tra sé, con gli occhi ancora semichiusi, ciabatta  fino all’anticamera, dove solleva la cornetta  e mugugna un “Pronto” poco convinto. – Croccolo, è lei? No, hai sbagliato numero, maledetto Rizzi! Ma questo ovviamente Croccolo si limita a pensarlo. – Sì, capitano…che c’è? – Ma perché ci ha messo tanto a rispondere?  Forse dormiva ancora? L’ho svegliata? No, certo che no…pensa che per essere al Comando, a dieci minuti  a piedi da qui, alle otto e mezzo, io mi sveglio sempre  due ore prima, così se mi chiama un rompiscatole  come te mi trova bello sveglio e scattante… – Mmm…no, certo…è che…ero in bagno. Mi dica… – Si faccia trovare sotto casa tra dieci minuti, le ho mandato una pattuglia.  Pare abbiano ammazzato un tale a colpi di pistola, ci pensi  lei a seguire i primi rilievi e a parlare col GIP,  io devo presenziare ad un workshop in Bocconi, proprio non posso.  Mi raccomando, Croccolo, niente iniziative personali, capito?  Si limiti a guardare e prendere nota, poi più tardi  passa da me e mi fa un bel rapporto, d’accordo? Buon lavoro! E il capitano Rizzi attacca prima che Croccolo possa mandarlo  simpaticamente a quel paese, e stavolta non solo col pensiero.
Dieci minuti! – Luisellaaaa!!! Che sarebbe poi la moglie del tenente. Il suo vero nome  ovviamente è Luisa; il vezzeggiativo risale ai tempi del fidanzamento,  quando portava la taglia 36 e nonostante il suo metro e settanta  era talmente magra da sembrare quasi minuta. Diciannove  anni di matrimonio e venticinque chili dopo, forse sarebbe più corretto  chiamarla “Luisona”. Ma ormai un’abitudine è un’abitudine. La suddetta Luisella (Molinari in Croccolo, per i maniaci anagrafici)  fa capolino in camicia da notte dalla porta della camera da letto.  Il marito non ha mai capito come diavolo faccia, ma anche  da appena svegliata, ha i capelli in ordine perfetto, lisci e  con lo stesso color rosso carota di quand’era ragazzina. – Chi era, amore? – Quel grandissimo fetente di Rizzi, che Dio lo strafulmini… devo essere calzato e vestito tra dieci…anzi, nove minuti,  qui sotto casa! Per favore, fammi un caffè ultraforte… E corre a cambiarsi lanciando maledizioni  in un misto italian-meneghin-napoletano.
Lunedì 4 luglio La prima vittima (ma che sia la prima ancora non lo sa nessuno, ovviamente)  si chiama Giuseppe Pinzi, cinquantaquattro anni, freddato con due colpi  alla schiena (gobba, come non bastasse!) mentre stava abbassando  la saracinesca del minuscolo bar-tabacchi di sua proprietà, al 102 di via Gandhi,  cioè talmente in periferia che basta fare quattro passi in direzione nord-ovest  per ritrovarsi a Varese. Per inciso, è la regola: nel centro storico i nomi  delle vie sono sempre appannaggio di letterati, eroi del Risorgimento,  battaglie celebri e nomi di città importanti; nelle nuove zone residenziali  è tutto un fiorire di nomi di piante, alberi e richiami vari a quella natura che  qui a Milano ricordano appena i nostri nonni, e pure loro non molto  bene; e per finire nelle periferie degradate – pardon, qui si dice “hinterland”,  che sembra meno brutto – vengono relegati i vari Kennedy,  MacMahon, Luther King…e Gandhi, appunto. Tornando al gobbo: di testimoni nemmeno l’ombra (e figuriamoci!  Quelli esistono solo nei polizieschi americani), nessun movente  che spieghi l’omicidio: si esclude la rapina (il cadavere ha in mano  il portafogli con l’incasso della giornata), tantomeno possibili  le motivazioni passionali (il Pinzi era solo, senza parenti  o amici intimi; unico amore – sfortunato, peraltro – l’Inter),  di criminalità organizzata manco a parlarne (altrove magari  spareranno pure; nella “capitale morale” si limitano per lo più a riciclare,  corrompere, giocare in Borsa, import-esportare, eccetera eccetera). Il tenente Croccolo ha cercato di riassumere quel poco che si è appurato
finora dando per quanto possibile al tutto un senso di burocratica  efficienza, ha stilato il suo rapporto per il capitano Rizzi  e gliel’ha portato su in ufficio. Rizzi è di fretta, deve scappare perché quella sera l’attendono  ad un convegno su “Attualità della figura dell’eroe omerico  rivisitato nelle fiction investigative moderne” o una roba del genere,  e non gli presta molta attenzione. Dice solo che va bene così, “ per una volta ha fatto un buon lavoro, Croccolo, ma da domani  torna ad occuparsi dell’inchiesta sulle contraffazioni di beni  di lusso”, che dell’omicidio del gobbo si occupino appuntati e brigadieri. E per il momento la cosa finisce lì. Diciamoci la verità: appuntati e brigadieri ce n’è sempre meno  di quanto servirebbe per fare tutto quello che c’è da fare.  E per quanto riguarda la morte del gobbo, stavolta i nostri beneamati  benemeriti non sanno che pesci pigliare. Detto tra noi, col caldo  che fa non hanno neppure tutta ‘sta voglia di mettersi a pescare.
Sabato 9 luglio, ore 6:14 Passa qualche giorno, e il sabato successivo, stavolta verso le 4  di mattino (Croccolo era di turno, se non altro stavolta niente levataccia),  c’è un nuovo morto, anzi morta: Inga Dovirsilaite, trentadue anni,  in arte “Blondie”, cresciuta alta, tanta e bella in una dittatura comunista,  e venuta a crepare sfatta, malata e puttana sul marciapiede di  un libero mercato. Causa della morte: strangolata in un vicolo  non lontano da via Melchiorre Gioia, mentre si stava dando  da fare con un cliente. L’assassino ha infierito  sul cadavere sparando un colpo di pistola al pube. Il nostro tenente sopporta a malapena la vista di una bistecca  troppo al sangue, figurarsi il corpo di quella poveraccia!  Si è messo gli occhiali a specchio, nonostante cominci appena  ora ad albeggiare, e così si evita quanto  più possibile lo spettacolo mentre parla col medico legale. Poi mette tutto nelle mani del brigadiere Giambisi  e se ne va a cercare di farsi un paio d’ore di sonno, prima di  dover riprendere servizio e relazionare il superiore su questa  nuova storia di una Milano sempre meno “da bere” ogni giorno che passa. Si è detto “cercare” e infatti il buon Croccolo, nonostante  la stanchezza, non riesce proprio a chiudere occhio. Continua  a tornargli in mente (per un secondo gli è toccato guardare)  quel rivolo di sangue denso, scuro, che scivolava giù piano  dal lercio marciapiede e scompariva in quel tombino fetente.
 Sabato 9 luglio, ore 14:27 – Croccolo, Croccolo, lasci perdere, perché parte in quinta come  al solito? Sarà stato il solito magnaccia albanese… – A parte che il protettore della vittima si chiama Bertelè Alfredo  ed è italianissimo…e comunque Giambisi ha controllato,  quel figlio di buona donna ha un alibi di ferro… – Ma le devo insegnare io il mestiere? Immagino che alibi,  sarà stato visto in qualche bettola malfamata mentre giocava  a carte tutta notte, con quattro delinquenti  come lui pronti a tenergli bordone! – Ehm…non esattamente, capitano…è stato fermato dalla  Polstrada prima del casello di Melegnano, eccesso di velocità, guida in stato di ebbrezza e resistenza a pubblico ufficiale.  Pare tornasse da una discoteca dell’hinterland dov’era andato  a …ehm…”valutare” delle nuove ragazze. Purtroppo  il rapporto della stradale parla chiaro: all’ora del delitto  il Bertelè era ad almeno venti chilometri  di distanza, quindi di sicuro non c’entra. – Va bene, allora vorrà dire che sarà stato il solito  balordo drogato…insomma, sia quel che sia, lasci che  se ne occupi Giambisi e si concentri sui falsari,
si ricordi che a giorni potremmo dover effettuare  un’operazione su vastissima scala, concertata coi comandi  di mezza Italia…e lei vuole perdere tempo col delitto di una puttana? Croccolo sarà magari un puntiglioso, ma il tono con  cui Rizzi ha detto l’ultima frase gli ha fatto venir voglia  di prendere il superiore per il bavero e appenderlo  al muro insieme ai calendari dell’Arma, motivo per  cui ha preferito non replicare. Ha poco convintamente  fatto segno di sì, battuto i tacchi, ed è uscito dall’ufficio  del superiore prima di fare qualche bestialità e  mandare a quel paese venti e passa anni di onorato servizio. E a parte l’incazzatura repressa del tenente (che di certo non  è una novità e quindi non conta) pure stavolta la cosa finisce lì. Ma solo per un paio di giorni.
 Martedì 12 luglio, ore 15:46 Martedì pomeriggio arriva il rapporto della scientifica. A parte il solito mucchio di cose tecniche e poco comprensibili,  e le foto che Croccolo ha girato subito sottosopra senza guardare,  c’è però un dettaglio bomba: il proiettile sparato alla bella  di notte è uscito dalla stessa arma usata per freddare  il barista gobbo alias Pinzi Giuseppe, una calibro 7,65  con un caratteristico difetto al percussore! Croccolo sta per correre da Rizzi, è già sulla porta dell’ufficio  quando lo squillo del telefono lo fa tornare indietro. – Si sbrighi, Croccolo, l’operazione congiunta è stata anticipata  a domattina, bisogna subito che ci accordiamo sugli ultimi dettagli. – Ma, veramente… – Cosa fa ancora lì, Croccolo? Ho detto subito! Inutile dire che manco stavolta il nostro tenente riesce a smuovere  quel cretino di Rizzi, troppo preso da questa cavolo  di operazione congiunta contro i falsari di marchi pregiati. Croccolo mastica un paio d’etti di bile ma garibaldinamente  obbedisce agli ordini, anche se a lui non va tanto giù tutto  questo spiegamento di forze per qualche decina di poveri  cristi cinesi che sgobbano quindici e passa ore al giorno,
con uno stipendio da fame, per produrre borse e occhiali da sole taroccati. E poi sotto sotto il tenente si chiede se sia poi così grave,  dopotutto chi si può permettere di spendere l’equivalente  di un mese del suo stipendio da carabiniere per comprare  una cacchio di borsetta firmata, continuerà a farlo, e chi invece  si accatta la versione “made in China” da trenta euro è  perché tanto quella originale non l’avrebbe mai potuta acquistare. A volerla dire proprio tutta, può essere che con lo  scetticismo di Croccolo riguardo all’operazione congiunta  c’entri qualcosina pure il fatto che l’ultimo Natale, tra le altre cose, alla sua Luisella ha regalato proprio una di quelle borsette taroccate. Sia quel che sia, per i due giorni seguenti non c’è più un minuto  libero , tra una conferenza stampa e un’intervista per il tiggì  (Rizzi manca poco che fa la ruota come un pavone!  Ecco spiegato tutto il suo interesse per quella fetentissima operazione congiunta…),  e così le indagini sugli omicidi di quei due poveracci vengono un po’ messe da parte. Qualcuno che non conoscesse sbirri in gamba come Croccolo  ma solo teste di cavolo tipo Rizzi e fosse magari in vena  di malignità, potrebbe forse dire che su questo caso le Forze dell’Ordine,  coerentemente col fatto che siamo in un paese cattolico, preferiscono  per l’intanto confidare più che altro in un miracolo.
Sabato 16 luglio Week-end di Ferragosto, due sabati dopo il primo delitto:  il terzo morto, trentott’anni, di nome fa Buzzi Antonio,  stordito con un colpo di manganello (o simile corpo contundente)  alla nuca, mentre parcheggiava la sua Porsche Cayenne Turbo  in divieto di sosta, tornando alticcio dalla notte in discoteca;  l’assassino gli ha poi legato una corda ai piedi, l’ha appeso  a testa in giù al lampione più vicino, dopodichè  l’ha freddato con un solo proiettile, dritto al cuore. Sembra che tra i parenti del morto ci siano un cardinale,  un sottosegretario, due commendatori e quattro avvocati di grido.  Insomma aveva come si dice i santi in paradiso, motivo  per cui le Forze dell’Ordine (direbbe il solito maligno) per contrappasso ora diventano meno cattoliche, smettono  di sperare nei miracoli e si gettano anima e corpo sul caso  (insieme ad un piccolo esercito di giornalisti, avvocati,  avvoltoi e curiosi vari – e meno male che i media ancora  non sanno che l’arma è la stessa degli altri due omicidi, se no apriti cielo!). A Croccolo fa particolarmente rabbia il cambiamento del capitano Rizzi.  D’accordo che ora non ha più l’assillo di finire in tv come prode paladino  del marchio di lusso, ma almeno avesse la dignità di ammettere  che ‘sta storia l’aveva colpevolmente presa sottogamba!  E invece no, manca poco che la colpa è sua (di Croccolo),  che “anziché fare il solito napoletano” dovrebbe sbattersi di più. Il tenente in cuor suo spera tanto che la prossima vittima sia il suo superiore.  Nel frattempo, insieme al brigadiere Giambisi,  fa quello che può per capirci qualcosa in quella brutta storia.
 Lunedì 18 luglio Non è che si sia riusciti lo stesso a scoprire granchè. La vittima stava sulle scatole a molti, ma hanno tutti degli alibi a prova di bomba.  Il che non sorprende più di tanto gli inquirenti, ormai non ci sono dubbi che ci si trova di fronte  a un dannato serial killer! Ma da qui a capire che cavolo di logica segua l’omicida, ce ne corre:  i tutori della Legge come detto ora non dormono più (permessi ritirati, turni doppi,  massima allerta) ma continuano a brancolare nel buio come e peggio di prima. Viene richiesto un profilo psicologico dell’assassino; il team di strizzacervelli incaricato  non ha dubbi: maschio, bianco, tra i trentacinque e i quarantacinque anni, di media cultura,  probabili traumi infantili, eccetera eccetera. Sai che novità, praticamente l’identikit del tipico omicida seriale (ma non è che li chiamano  così perché sono fatti tutti in serie con lo stampino?). Martedì 19 luglio, ore 21:27 I doppi turni sono toccati ovviamente pure al nostro tenente Croccolo, che a quaranta e  passa anni ha già una discreta pancetta (colpa della cucina di sua moglie, almeno in parte)  e con la circolazione che si ritrova e il caldo che fa, gli tocca togliersi le scarpe ogni volta che può. Dopo tre notti insonni, coi piedi in fiamme e un umore che più nero non si può, si prende  cinque minuti dopo cena e telefona a sua madre, ha voglia di sentire la sua bella voce partenopea  e di sfogarsi un po’ con la genitrice (si ha un bell’avere passato i quaranta, sotto  sotto si resta tutti “belli ‘e mammà”). La madre di Croccolo si chiama Teresa De Crescenzo, vedova Croccolo, e da cinquant’anni  è “assistita”, che non significa che è andata in pensione a venticinque anni  (come penserebbero sicuramente i parenti padani di sua nuora), ma semplicemente che  di mestiere dà i numeri del lotto, e per questo è benvoluta da tutti, al Rione Sanità.  Il rovescio della medaglia però è che qualsiasi cosa le si dica, lei per prima cosa  si mette a calcolare a che numero corrisponda secondo la Smorfia napoletana. E’ così anche stavolta, Croccolo ha appena finito di parlarle del caso che sta togliendo  il sonno ai tutori della Legge, e lei subito attacca: – Mmm…famme penzà…’o primmo muorto fa 57, “’o scartellato”.  ‘A guagliona è certo 6, “chella ca guarda ‘n terra”, e l’ultimo di sicuro 69, “sott’e ‘ncoppa”.  Saj che te dico Alessà, io quasi quasi ‘sta jucata m’a faccio, terno secco sulla ruota ‘e Napule! – Mammà, chiedo scusa, ma a ‘sto punto me pare cchiù ggiusta assaje ‘a ruota ‘e Milano,  i muorti dopotutto cà stanno, mica a Napule…
 Come prosegue la telefonata non ci interessa molto, le frasi importanti  sono state riportate e questo basti. Ma che fossero frasi importanti per il momento il tenente Croccolo mica lo sa. Se ne accorgerà solo qualche giorno dopo. Sabato 23 luglio Altro sabato, altro cadavere, altra levataccia per il nostro tenente, che aveva appena staccato dall’ennesimo turno di notte quando lo hanno avvisato del rinvenimento del corpo della quarta vittima. Stavolta è toccato a Padre Alvaro Rattazzi, un frate francescano di sessantadue anni, colpito mentre stava andando alla prima messa mattutina (praticamente all’alba). Due colpi della solita 7,65 alla schiena da distanza ravvicinata, questa volta l’assassino si è fermato a ricomporre la salma: mani giunte sul petto, crocefisso sul cuore e…Amen! Lunedì 25 luglio Della morte del gobbo e della povera crista dell’Est l’opinione pubblica praticamente  non ne sa nulla, e anche fosse probabilmente non gliene fregherebbe  niente a nessuno o quasi. La morte di Buzzi invece di scalpore ne ha suscitato, ma con tutti i nemici che aveva  (parenti-serpenti, avversari politici, concorrenti, dipendenti licenziati, eccetera eccetera)  i media hanno solo l’imbarazzo della scelta e sono forse loro i primi a sperare che  il caso non venga risolto subito (altrimenti toccherebbe parlare dei prezzi che salgono,  dei condoni che si accumulano, delle missioni di pace dove si muore come in guerra…tutti  argomenti che a lungo andare stufano il pubblico e fanno vendere meno; senza contare  che c’è sempre il rischio di pestare le corna sbagliate e ritrovarsi a fare il corrispondente  in qualche posto sperduto e di cui non sbatte nulla a nessuno). Ma con la morte del frate la musica è cambiata. Non si capisce se sono i cittadini a dire che “E’ uno scandalo!” perché così sta scritto  sui giornali, o se sono i media a titolare “Cosa fanno le Forze dell’Ordine?” perché è  proprio quello che si chiedono i contribuenti. Per Croccolo e soci comunque fa lo stesso: già si lavora male di solito, con gli organici sempre  troppo striminziti e i troppi impegni, se poi si mettono pure a farti pressioni  da ogni parte, la cosa diventa ancora meno gradevole.
Giovedì 28 luglio Qualcuno (strano che non sia successo prima) ha spifferato qualcosa  di troppo alla stampa, e tempo poche ore si scatena il pandemonio! Prime pagine,  aperturedei tiggì, porte-a-porte e costanzi-show: “SERIAL KILLER A MILANO!!!” Al Comando si passa ai turni tripli, qualcuno si organizza con delle brandine  in ufficio e chi non ha l’ufficio dorme in piedi.A proposito di piedi, quelli di  Croccolo fumano peggio del Vesuvio. Alla fine approfitta di un attimo di relativa  calma all’ora di pranzo, entra in un ufficio deserto, si toglie le scarpe che lo  torturano e coi piedi sulla scrivania telefona alla madre.La quale, non contenta di  averlo dato alla luce parecchi anni addietro, restain tema di luci & affini e,  seppur involontariamente, illumina la mente del pargolo sbirro fornendogli  praticamente la soluzione del caso.– Appropò, Alessà, ma ‘o saj ca è strano  assaje ‘stu fatto…rammenti ca me vulivo jucà ‘no terno secco su Milano…ebbè  ho controllato e i nummeri su chilla ruota so’ già sortite ‘o mese scorso:  57, 6 e 69…e ora ‘stu munaciello,che fa 37…e difatte ‘o 37 era proprio ‘ o quarto estratto!Croccolo non sarà Sherlock Holmes, ma stavolta  ha capito tutto, balza in piedi con un’agilità insospettabile e con voce malferma chiede: – Mammà! E qual era ‘o quinto nummero o saj?– O ssaccio, o ssaccio, chillo era ‘o 31,  “’o padrone ‘e casa”…– Mammà, tu si’ ‘n genio! Mo’ devo scappà, ciao!Il tenente  attacca la cornetta e si precipita fuori dall’ufficio per andare  a relazionare il suo superiore, a mezza strada si accorge di essere scalzo e  gli tocca tornare arimettersi le scarpe.Dopo un po’ racconta tutto al capitano  Rizzi e quello, come abbiamo visto,  lo caccia in malo modo.
Parte seconda Giovedì 28 luglio, ore 15:25 Sarà la consapevolezza di aver ragione, sarà l’insulto alla napoletanità  (“Terzomondista ci sarai tu, brutto fetente” dice Croccolo a bassissima voce al suo superiore,  una volta uscito in corridoio, quand’è sicuro che l’interessato non potrà sentire),  sarà che non ci sta a far finta di niente quando c’è una vita in ballo, sarà che mancano  appena due giorni a sabato e il tempo stringe. Insomma perché o per come, Croccolo si mette finalmente ad indagare per conto  suo, smuove mari e monti (o meglio, archivi, faldoni e altre burocratiche amenità)  e a chi gli chiede assicura di agire su ordine dei superiori. Venerdì 29 luglio, ore 22:51 La sera dopo il Comando è in fibrillazione. Tutti gli agenti mobilitati, centinaia  di uomini pattugliano la città palmo a palmo, i telefoni squillano in continuazione  (falsi allarmi e mitomani, ma ogni volta bisogna controllare). E in tutto questo casino,  il tenente Croccolo è sparito (“Quando torna vede!” ha proferito minaccioso il capitano Rizzi dando un pugno sulla scrivania in finto mogano). Ma dove cavolo è finito il tenente Croccolo? Sabato 30 luglio Alle due e trentasette, una chiamata da Porta Venezia, dei testimoni hanno sentito due  colpi di pistola. Ma poi si scopre che erano tappi di spumante (gli universitari in affitto  al piano di sotto festeggiavano il primo esame passato dopo mesi e mesi di cazzeggio). Tre e dodici minuti, delle urla in zona Famagosta. Il serial-killer  non c’entra, è una semplice storia di corna. Tre e cinquantasette, aggressione con accoltellamento in zona San Siro.  Ma è roba che può interessare all’antidroga, i coinvolti sono due piccoli  spacciatori che lottavano per il “territorio”. Passano le quattro, poi le cinque. Le chiamate e gli allarmi si diradano  fino a cessare del tutto. Alle sei meno cinque squilla il cellulare del capitano Rizzi. All’altro capo della linea,  Croccolo si toglie una soddisfazione che aspettava da anni e dà del tu al superiore: – Roba da terzomondisti, eh? Manda una pattuglia in via Norcia 68…e fai venire  pure un paio di ambulanze, ho ferito il serial-killer alle gambe e mi sono preso una palla  al fianco. Fa’ presto, cazzo, butto sangue come una fontana!
Sabato 30 luglio, ore 11:34 Qualche ora dopo il serial killer (si chiama Antonio Esposito, quarantadue anni, sta’  a vedere che rientra perfettamente nel profilo stilato dagli psicologi!) è al sicuro  nell’infermeria di San Vittore, tenuto sotto strettissima sorveglianza. Quanto a Croccolo, sta al Fatebenefratelli, hanno appena finito di ricucirlo che Rizzi  fa uscire tutti dalla stanza (singola, trattamento di lusso) e si rivolge mellifluo al sottoposto: – Ora, caro Croccolo, potrebbe spiegarmi? Croccolo incassa il “caro” ridendo sotto i baffi (che peraltro porta, e pure folti)  e comincia non risparmiandosi una punzecchiata al superiore: – Come ho inutilmente cercato di dirle già l’altroieri, ho cominciato a capire quando  mia madre mi ha fatto notare che le prime quattro vittime corrispondevano,  nella Smorfia napoletana, a quattro numeri usciti, proprio in quell’ordine, sulla ruota  di Milano, sabato 4 giugno: 57, “‘o scartellato”, il gobbo, proprio  com’era il Pinzi; 6, “chella ca guarda ‘n terra”, cioè le…ehm…parti intime della  seconda vittima, su cui l’assassino ha infierito; poi 69, “sott’e ‘ncoppa”,  che significa “sottosopra”, proprio come abbiamo trovato il terzo cadavere, appeso  a testa in giù; infine 37, “‘o monaco”, e appunto la quarta vittima era un frate.  Ora, una coincidenza passi, va bene due, tre sarebbero già strane, ma quattro una in fila all’altra! – D’accordo, ma come ha fatto ad arrivare al serial kiler? – Stabilito che l’assassino sceglieva le vittime in base a quella precisa estrazione  del lotto, ho provato a risalire a lui seguendo due strade: da una parte, capendo  il perché quella fissazione; dall’altra, prevenendone le mosse. Se aveva seguito  l’ordine esatto dei primi quattro numeri estratti, tutto faceva pensare che avrebbe  continuato così anche per il quinto e ultimo: 31, “o’ padrone ‘e casa”. Ma a questo  punto più ci pensavo, più mi rendevo conto che il serial killer non poteva che  uccidere il proprio padrone di casa. In tutti gli altri casi il collegamento tra la vittima  ed il numero era diretto, immediato. Lei deve sapere che in realtà nella Smorfia  napoletana ad ogni cosa, fatto o azione possono corrispondere diversi numeri:  per esempio, prendiamo la prima vittima. Potrebbe essere 62, “‘o muorto acciso”,  oppure 42, “‘o cafè”, visto che è stato ucciso di fronte al bar, e così via…ma colpendo  il gobbo proprio alla schiena deforme, era come se l’assassino volesse attirare  l’attenzione su quel particolare. E il gobbo, “‘o scartellato”, è sicuramente 57.  Con la seconda vittima stesso discorso, avrebbe potuto far pensare al 78, “‘a bella figliola”,  cioè la prostituta, o ancora al 21, “‘a femmena annura”, visto che l’abbiamo  appunto trovata nuda…ecco che quindi quell’inutile colpo al pube aveva lo scopo  di focalizzare l’attenzione sull’unico dettaglio che premeva all’omicida,  cioè le parti intime della ragazza. Chiaro riferimento al numero 6,  “chella ca guarda ‘n terra”, cioè…la vagina…
E qui Croccolo non riesce a non arrossire. Ma solo un attimo, poi prosegue: – Per non parlare del terzo cadavere. Quella volta l’assassino prima ha stordito  la vittima senza usare la pistola, e solo in un secondo momento ha sparato.  Tutto ciò solo per avere il tempo di legare il Buzzi a testa in giù, di modo che  fosse chiaro il collegamento al numero 69, “sott’e ‘ncoppa”, cioè “sottosopra”.  Con la quarta vittima poi non ci si poteva sbagliare. Gli bastava un frate qualsiasi.  Di sicuro corrisponde al 37, “’o monaco”. Ma comunque a scanso di equivoci ha perso tempo  a ricomporre la salma, per precisare al di là di ogni dubbio che proprio di un monaco si trattava,  e non per esempio di un vecchio qualunque, che altrimenti farebbe 53. Però col quinto estratto  il discorso si complica. Numero 31, “’o padrone ‘e casa”. L’unico modo che l’assassino ha  di rispettare la relazione tra numero e vittima, è di uccidere il PROPRIO padrone di casa, non  un padrone di casa qualsiasi. Come farebbe altrimenti a sottolineare  e far capire che di quello si tratta? – Ma questo non poteva indicarle in alcun modo il nome del serial killer… – Verissimo, però mi restava l’altra strada, cioè ragionare sull’ossessione dell’assassino per  quella particolare estrazione del lotto. Cosa poteva avere di così terribile da spingere una  mente, per quanto malata, a cinque omicidi? Qui mi sono venuti in aiuto gli psicologi che  avevano stilato il profilo del serial killer. Ho fatto loro qualche domanda un po’  più approfondita, e tra le cose che mi hanno spiegato, una in particolare mi ha colpito:  nella stragrande maggioranza dei casi che riguardano omicidi seriali, la prima  vittima ha una qualche relazione con l’assassino.  Allora ho cercato di saperne di più su quel Pinzi.  Il suo bar-tabacchi, con annessa ricevitoria del lotto, era poco più di una bettola.  Tolte le spese, gli restava in tasca giusto il necessario per tirare a campare, e  pure maluccio. Ma due settimane prima di morire, il gobbo aveva chiesto un preventivo  ad una ditta specializzata per un completo ammodernamento del locale.  Costo totale, 12.000 euro.
– Da dove gli venivano questi soldi? – In banca ne aveva poco più di 3.000. Nessun parente, quindi non si trattava  di eredità. Un povero cristo quale era il gobbo come poteva fare quattrini da un giorno con l’altro? – Non mi dica che… – Appunto. Giocando al lotto. Allora vado e mi informo: nell’estrazione  del 4 giugno in tutta Italia sono stati pagati 2.348 ambi, 703 terni,  81 quaterne e soltanto tre cinquine. Una a Taranto, la seconda in provincia di Rieti e la terza… – A Milano? – Già, giocata al bar-tabacchi di via Gandhi 102,  vincita per un valore di oltre 300.000 euro. – Ma con quella somma poteva comprasi un locale in centro,  altro che restaurare la sua bettola! – La stessa cosa che ho pensato anch’io. Però i proprietari delle ricevitorie  hanno diritto ad una percentuale sulle vincite, da qui la disponibilità finanziaria  del Pinzi. Solo che se non li aveva vinti lui, allora chi? E soprattutto, perché  il nostro serial killer avrebbe dovuto uscire di senno? Allora ho cominciato  a chiedermi una cosa: e se per esempio fosse stato proprio  l’omicida ad effettuare la giocata vincente? – E già, adesso uno che vince seicento milioni di lire si mette  ad ammazzare a destra e a manca! Croccolo, per favore… – Chiaro che no…ma se per ipotesi un tale facesse una vincita da  300.000 euro e questi soldi gli venissero in qualche modo  sottratti, non pensa che potrebbe appunto uscire pazzo? – Vuole dire che qualcuno ha rubato la vincita a quell’Esposito?  Ma allora perché prendersela col Pinzi e non con questo qualcuno,  visto che abbiamo stabilito che il gobbo contava solo sulla  sua percentuale e non sulla somma totale? – Ad esempio, perché il Pinzi per qualche motivo aveva contribuito  a far vincere questo “qualcuno” al posto dell’assassino, magari in cambio di un bel regalo… – Ma ancora non capisco com’è arrivato a questo Esposito…
– Continuando a ragionare sull’ipotesi che l’assassino ce l’avesse  col gobbo perché questi gli aveva “rubato” la vincita a favore di un’altra  persona. Ora il problema era: come risalire a questa persona? Il Pinzi  non aveva né parenti, né amici, quindi doveva trattarsi di un cliente  del bar, e non ce n’è poi moltissimi. In periferia capita che sia un po’  come nei paesi di campagna, gira e rigira i clienti delle varie bettole  sono sempre gli stessi, e praticamente tutti abitano in zona.  Il che si capisce, uno che si prende la briga di spostarsi per andare  in un bar lontano da casa, di solito lo fa perché questo locale  ha qualche attrattiva che nei baretti del suo quartiere manca:  vuoi una bella cameriera, vuoi un biliardo nuovo, eccetera eccetera.  Ma il baretto del gobbo di attrattive non ne aveva manco l’ombra:  per cui, se uno va in una bettola simile è perché ce l’ha sotto casa ed è comodo così.  Quindi, dicevo, è bastato indagare sui clienti più assidui, una trentina di nomi in tutto.  Una piccola ricerca a computer fatta dai colleghi della tributaria, e si scopre che  uno di loro, tale Ivo Rosetti, ha appena versato la prima rata di una Ferrari…e  meno male che noi italiani quando abbiamo due soldi pensiamo subito all’auto,  altrimenti col cavolo che avrei trovato il serial killer! – Ecco, appunto, ora deve spiegarmi come ha collegato  questo…Rosetti, con l’Esposito… – Semplice: il Rosetti non è che stesse poi male economicamente,  tra le altre cose è proprietario del piccolo stabile in cui vive, via Norcia 68,  sei appartamenti. Uno per lui, uno per la sorella coniugata, uno per i figli,  e tre in affitto. Insomma, “’o padrone ‘e casa”! E qui ho finalmente  capito tutto: questo Rosetti aveva sottratto la ricevuta della giocata  fatta dall’assassino e, d’accordo con il Pinzi, si era intascato la vincita.  La combinazione per cui il primo e l’ultimo numero della giocata  corrispondevano ai due complici, cioè 57, il gobbo, e 31, il padrone  di casa, era stata l’ultima spinta necessaria a far impazzire il derubato.
– Ma se le cose stanno così, perché questo Rosetti non ha denunciato  Esposito subito dopo la morte del Pinzi? – Me lo chiedevo anch’io, e l’ho capito solo parlando col serial killer,  mentre aspettavamo l’ambulanza. Il fatto è che Rosetti non avrebbe  mai sospettato nemmeno lontanamente di lui. Esposito è sempre  stato un povero diavolo, mite e remissivo. Inoltre negli ultimi anni,  dopo la morte della moglie e del figlio in un incidente stradale,  non c’era più molto con la testa, ed è finita che tutti se ne approfittavano  considerandolo un mezzo demente. Si figuri che non è nemmeno  andato a lamentarsi col Pinzi o col Rosetti, ma ha continuato a vivere  lì e ad andare al bar come se niente fosse! Insomma, i due  complici si saranno detti che era un delitto non approfittarne… ma quello che non sapevano è che in tutto questo tempo Esposito non  ha fatto altro che macerarsi internamente, scivolando  un giorno dopo l’altro nella pazzia… – Tornando indietro un momento, mi ha detto  che nello stabile del Rosetti  gli appartamenti in affitto sono tre: come faceva ad essere sicuro  che l’assassino fosse appunto l’Esposito? – Beh, negli altri appartamenti ci sono una coppia di ottuagenari e  una zitellona inacidita, non poteva che essere Esposito. Allora sono  andato da lui, e ho fatto appena in tempo, perché quello era già con  la pistola in pugno, stava per salire ad ammazzare il Rosetti; gli ho  subito intimato l’alt, ma quello mi ha sparato lì sulla soglia. Per fortuna  ho fatto in tempo a spostarmi di lato sparandogli alle gambe.  Poi sono riuscito ad ammanettarlo e allora le ho telefonato…
– Splendido, splendido. Ottimo lavoro, Croccolo, vado subito a  riferire al colonnello…ehm…chiaramente ometterò di precisare  che lei ha agito al di fuori delle regole…temo potrebbe costarle un’indagine disciplinare… Il tenente Croccolo sa bene che in realtà il capitano Rizzi ha  soprattutto paura che si venga a sapere che lui la soluzione gliel’aveva  già offerta due giorni prima, e anziché ascoltarlo il superiore l’aveva  cacciato. E allo stesso modo Croccolo sa bene che il capitano cercherà  di assumersi quanto più potrà il merito dell’impresa. Gli sembra quasi  di sentire le frasi che Rizzi dirà al colonnello (“Un mio uomo di fiducia, ha brillantemente portato a termine l’operazione che gli avevo affidato”)…ma  a questo punto ha solo voglia di riposare e godersi la vacanza che gli spetta di diritto.  Che il capitano brighi pure quanto vuole, tanto tutti e due sapranno sempre  chi è stato a risolvere il caso e chi invece ci ha fatto la figura dello stronzo! Rizzi si alza in piedi e un po’ perché sa di essere in debito, un po’ perché  è untuoso di natura, stringe la mano a Croccolo dicendo con un sorriso: – Certo che, andare così a ficcarsi nella tana del lupo…lei è stato  davvero incredibilmente coraggioso… La madre di Croccolo sceglie proprio quell’istante per comparire trafelata  sulla soglia (ha preso il primo aereo da Napoli per venire a coccolare  il suo Alessà). Ha sentito l’ultima frase del capitano, annuisce soddisfatta  lanciando uno sguardo fiero al figlio ed esclama: – Chillo è poco ma sicuro: fa 30, “‘e ppalle d’o tenente”! FINE Paolo Pozzi Associazione culturale Giallo & Co.

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