lunedì 6 novembre 2017

un illecito nel gioco del lotto nel 1895

Augusto Rizmann aveva vent’anni, ma una passione per il gioco già spiccata. Tanto da non sapersi limitare al semplice tentar la fortuna, ma di voler proprio vincere! E d’altronde come biasimarlo, chi non vorrebbe fare un terno al lotto? Ma dato che la sorte non baciava la sua fronte, Augusto Rizmann decise una volta di andarsela a prendere con la forza. Prese la sua bolletta del lotto, cancellò con reagenti chimici i numeri che aveva inutilmente giocato, e trascrisse al loro posto altri numeri, quelli estratti. E così con quella schedina visibilmente alterata si presentò al collettore di zona per riscuotere la vincita. Centoventimila lire: tantissimi soldi nel 1895.
Fu subito scoperto Rizmann, denunciato e condannato per reato di falso. Si era difeso sostenendo che quella sua idea non avrebbe mai potuto comportare danno allo stato, visto che la matrice della giocata non corrispondeva a quella vincente. Ma non aveva convinto nessuno: accettare questa tesi per i giudici avrebbe significato ammettere a chiunque di poter alterare le schedine di gioco, “quasiché si trattasse di un lecito passatempo, o di un esercizio calligrafico od artistico“.

sentenza cassazione illecito gioco lotto
La Corte : — Con sentenza della Corte d’appello, sezione penale, di Genova del dì 8 maggio 1895, Rizmann Augusto venne dichiarato colpevole di falso in bolletta del regio lotto, per avere mediante uso di reagenti chimici cancellati  dalla bolletta rilasciatagli dall’ ufficio del collettore Marco Carlo in Ventimiglia i veri numeri giocati sostituendovi altri, che simulavano una vincita, e presentata quella bolletta a quell’ufficio per la riscossione della vincita in lire 120.000, il giorno 10 gennaio 1895; e venne, a’ termini degli art. 278 e 281 cod. pen., e col beneficio dell’età minore degli anni 21, e delle attenuanti, condannato alla pena della reclusione per anni due ed un mese. Avverso siffatta sentenza ha il condannato ritualmente proposto ricorso per cassazione, e sostiene: violati gli art. 275, 278 e 281 cod. pen. Per aversi il reato di falso bisogna che sia possibile il danno; avendo la sentenza della Corte riconosciuto che nessun danno da quella bolletta poteva derivare all’amministrazione del regio lotto, la quale, per le varie disposizioni del regio decreto 10 aprile 1881, non poteva pagare perchè la bolletta stessa non corrispondeva alla matrice nei numeri vincitori, non seguì poi il tribunale nel ragionamento circa la possibilità di un danno privato configurato nel caso, che profittando dell’altrui buona fede, il Rizmann avesse ceduta altrui quella polizza.
Si fè derivare la possibilità del nocumento pubblico o privato dal fatto che, se la tentata contraffazione della scrittura avesse raggiunto il suo scopo, e fatto credere alla verità della polizza, il col lettore sarebbe stato tenuto al risarcimento de’ danni verso il portatore della polizza; e così l’amministrazione sarebbe stata colpita nella persona di un pubblico uffiziale che ne è parte. parie. Attraverso questo oscuro ragionamento si intravvede che la Corte abbia scorta la possibilità di un duplice danno, quello privato del collettore, e di riflesso quello dipendente dall’offesa fatta alla fede pubblica.  Questa, che è l’unica considerazione fatta dalla Corte di Genova, è erronea per duplice aspetto. Lo è in primo luogo di fronte al collettore, perchè anche nella ipotesi impossbile fattasi dalla sentenza, dovendosi l’alterazione necessariamente scoprire col semplice ed inevitabile confronto col la matrice ai sensi di legge, il collettore non poteva incontrare alcuna responsabilità, perchè per l’art. 13 del decreto 10 aprile 1881, il giocatore deve assicurarsi che il suo giuoco venga scritto tanto sulla matrice, quanto sul biglietto.  E perciò se anche vi fosse incorsa colpa del col lettore nel segnare i numeri diversi da quelli indi catigli, essendo parimenti in colpa il giuocatore per non aver controllato il giuoco nel momento della scritturazione non avrebbe potuto mai pretendere pagamento. È erronea finalmente questa considerazione perchè la pretesa offesa alla fede pubblica non è, per lo art. 275 cod. pen., sufficiente a stabilire il danno. Cosi si è pronunziata la giurisprudenza e la dottrina e così sentenziò la Cassazione di Napoli addi 20 dicembre 1886, nella causa di De Sanctis, disponendo, che per aversi il reato di falso in atto pubblico non basti la sola onta al la fede pubblica, ma sia ancor necessario che l’alterazione del vero debba essere tale da rendere possibile la creazione di un diritto, ovvero la prova del diritto stesso, che si vuol creare.
La Corte ha considerato di non poter menomamente accettare la teoria sostenuta dal ricorrente, che le falsificazioni nelle bollette del pubblico, non essendo soscettive di danno nè pubblico né privato, non costituiscono reato’; giacché conseguenza pratica di siffatto principio sarebbe che fosse recito a chiunque di adoperarsi in siffatte adulterazioni, quasiché si trattasse di un lecito passatempo, o di un esercizio calligrafico od artistico. Abbenchè l’amministrazione del pubblico lotto abbia cercato di garantirsi ne’ suoi interessi colle disposizioni comprese ne’ regolamenti che la riguardano, ed in ispecie colle norme sancite nel decreto 10 aprile 1881, ed abbia applicato delle regole per impedire le frodi che potrebbero colpire i ricevitori delle giuocate, non è men vero che la creazione di un documento, o di un titolo falso abbia la possibilità di nuocere, e pregiudicare gli interessi della pubblica amministrazione, e del suo personale. Basterebbero le sole possibili contestazioni amministrative e giudiziarie per perturbare gl’interessi, ed il tranquillo funzionamento dell’amministrazione, col conseguente danno del credito, per costituire una possibilità di danno, che la legge ha il dovere di impedire. Nè sono stati infrequenti i casi ne’ quali con tutte le norme e disposizioni applicate l’amministrazione del lotto dello Stato abbia avuto a subire ingenti danni e perdi te di danaro.
Colla teorica sostenuta nel ricorso non si saprebbe più determinare i casi di falsità di pubblici  documenti che fossero incriminabili. Tutti i pubblici titoli e documenti hanno i loro riscontri,  e le loro madri, dalle quali partono, e col confronto delle quali sarebbe facile scorgere la falsità.  Se in tali casi dovesse applicarsi la teorica della non possibilità del danno, ne risulterebbero  rovesciate tutte le disposizioni del cod. pen. Nè la osservazione risultante dalla prima  sentenza sulla possibilità del danno anche privato, che potrebbe verificarsi nel caso nel quale  il possessore della bolletta falsa potesse cederla ad altri, che in buona fede vi credesse,  è davvero a ritenersi una bestemmia giuridica, come si fa a sostenere il Rizmann nelle sue difese.  Perchè in tale fatto il danno sarebbe inerente alla scrittura falsificata,  e promanerebbe direttamente od immediatamente dalla falsità  Non vale l’asserire che in tale caso, concorrendo fatti estranei ed accidentali,  quale il concorso di raggiri fraudolenti, essi potrebbero dar vita al reato di truffa.  Imperocché è risaputo che quando la truffa sia stata commessa col mezzo di scritture  e documenti falsi, si risponde alla giustizia non di semplice truffa, ma di falsità.  Disposizione che testualmente risultava dalla disposizione dello art. 636 dell’abolito cod. pen. del 1859,  e che, se non riscontrasi ripor tata del testo dello art. 413 cod. pen., non si è dal legislatore  riportata, come risulta dalla relazione del guardasigilli a Sua Maestà il Re, giacche  lo si è trovato inutile, non essendovi motivo di derogare rispetto alla truffa alle norme generali  del concorso, e ciò tanto più dopo la nuova disposizione del lo art. 77 del cod. pen. Per tali motivi, rigetta ecc.
ANTICA CESTA ESTRAZIONALE

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