lunedì 14 novembre 2016

I Santi nel gioco del lotto

Le vie del cielo per il lotto. Siamo nel 1901
Brescia – Azzeccare i numeri al lotto. Antica ambizione quella di indovinare le estrazioni del popolare gioco tradizionalmente improntato sull’aleatorietà di circostanziate scommesse, puntate in quell’inappellabile vincolo di precisa obiettività dove risultano compromesse.  Certa la cifra giocata, incerta l’estrazione auspicata. La dinamica ludica affrontata è rivolta a quella remota possibilità di riuscita che appare proporzionata all’implicita casistica sfidata.  Connaturata a questa precarietà che espone, ad un rischio effettivo, la riuscita desiderata, sembra sia stata pure la soluzione ricercata nel tentativo del raccomandarsi a qualcuno.  Secondo la versione attuale di una sopravvissuta forma devozionale, pare che anche i giocatori del lotto abbiano i loro santi in paradiso.  Qualcuno che li aiuti a vincere. Un’agiografica figura che li favorisca, intervenendo con quella premura funzionale a fare in modo che l’invocato obiettivo sia loro assicurato in un’esatta misura.Trattasi, fra le altre, delle fortunate combinazioni di ambo o di terno, concretizzate fra le cifre rispettivamente estratte per la auspicata combinazione di vincite che tale credenza pone in essere siano favorite dall’apporto di alcuni santi.  Otto ruote, a seconda delle giocate, attraverso le quali, ad inizio Novecento, si distribuivano le dispute numeriche del lotto, allora suddivise in una ben più esigua schiera, rispetto alle maggiori disponibilità di oggi, dal momento che, nel frattempo, sono cresciute le voci d’inserimento delle estrazioni previste, con l’aggiunta anche di altre ruote, denominate secondo una pur sempre persistente cernita stabilita fra le città italiane e mediante l’ultima cadenza della cinquina, apparsa, a fine della serie, con il nome, invece, di “nazionale”.
Girolamo Ragusa-Moleti
Era questa l’epoca nella quale, attraverso la possibilità di una sola estrazione alla settimana, le vincite si potevano tentare sulle ruote di Milano, Bari, Firenze, Napoli, Roma, Torino, Venezia e Palermo, nell’uso, a vario livello, praticato nella radicata realtà di questo gioco d’azzardo che era attestato anche dalla prima pagina de “La Provincia di Brescia” del 30 agosto 1901, nel merito della “superstizione del giuoco del lotto in Sicilia” e secondo il modo in cui la stessa tematica pare fosse specificatamente rilevata, in seno ad uno studio svolto dal prosatore, poeta e folclorista palermitano Girolamo Ragusa-Moleti (1851–1917).
Nel bresciano, dove anche attraverso i quotidiani locali, passava l’informazione ufficiale relativa ai numeri estratti a sorte, un contributo d’approfondimento, circa quegli aspetti del gioco del lotto che si insinuavano fra le vie devozionali rivolte al cielo, riferiva a proposito di alcuni testuali aspetti culturali siciliani.
San Pantaleone
Quegli aspetti che, attorno alla nota e variabile ghianda di rame, rispettivamente contrassegnata da un numero, non ripetibile, ed estratta, per mano di un bambino bendato, da un contenitore fatto ruotare, davano luce ad alcuni particolari che, rispetto ad altri, facevano scrivere all’autore accennato che “quel che forse ignorate è la fiducia che, nel nostro popolo, gode san Pantaleone nelle cose riguardanti il lotto. Perchè la fantasia popolare sia andata così lontano, nientemeno che in Nicomedia a cercare un santo che sovrintenda alla cabala, non saprei davvero. Quel che so è questo che la novena a quel santo deve essere fatta ogni sera alla medesima ora da una fanciulla, la quale, dopo aver recitato il rosario, deve recitare questa giaculatoria: San Pantaliuni santu, / A stu munnu patistivu tantu;/ A Napuli, nascistivu,/ A Roma moristuvu;/ Pri la vostra santità; Pri la vostra puvirtà,/ Datimi tri nummari pì carità”.  Questa grazia, impetrata attraverso l’orazione quotidiana, per la durata del periodo in cui andava rinnovata, era pure sollecitata attraverso la mirata accortezza dell’approntare il materiale di che scrivere su un tavolo, in occasione dell’ultimo giorno della novena stessa, perchè il santo invocato, una volta guadagnato l’accesso all’ambiente preparato e per tale occasione lasciato pure spalancato, abbia avuto di che poter beneficare chi l’aveva tanto pregato.
A margine di una di queste, nella quale sembrava che l’ambo formato da 24 e 59 si fosse come divertito ad uscire sia sulla ruota di Firenze che di Bari, il quotidiano “La Provincia di Brescia” aveva proceduto alla messa in pagina degli esiti dell’estrazione del 23 novembre 1901 in due parti distinte: nell’edizione del 24 novembre, riferendo circa le ruote di Milano, Venezia, Bari, Torino, Napoli e Firenze, ed in quella dell’indomani, per le restanti due ruote di Roma e di Palermo.  In quest’ultima città, capoluogo della Sicilia nella quale una peculiare venerazione vernacolare dei santi era stata considerata, attraverso quella breve trattazione che nella stampa bresciana, circa il gioco del lotto, si era trovata divulgata, per ingraziarsi i santi Marco e Giovanni Battista pare fossero conosciute anche le relative preghiere che il quotidiano menzionato aveva rispettivamente specificato: “San Marco, siti tu patri,/ Siti virgini comu la matri;/ Di la terra nasci lu gigghiu/ Datimi lumi, aiutu e cunsigghiu./ San Marcu ‘un m’abbannunati/ ‘Nta li mè nicissitati”; “San Giovanni dicullatu;/ Siti lu medicu, lu judici, e l’avvucatu;/ Pri la vostra dicullazioni,/ Livatimi, sta gran confusioni”.Altri potenziali alleati, per cercare di espugnare alla sorte una danarosa vincita al banco del lotto, sembra che fossero pure intesi, in tal senso, san Marco e san Giovanni Battista: quest’ultimo individuato nel testo con la meno nota accezione di “San Giovanni decollato”, fino ad arrivare a considerare, nella folcloristica pertinenza di una esaminata e popolare credenza, desunta da questo mediterraneo contesto insulare, anche una non meglio identificata “Santa Lavria la quale, a quel che dicesi, ha un fratello chiamato “fra Gilormu” che molto sa e molto può in fatto di cabala. I devoti non cercano di propiziarsela che per avere le grazie del fratello”.  Sui giornali di quel tempo, nell’essenzialità asciutta di una telegrafica pubblicazione, omogenea anche allora per il taglio tipografico di una semplice elencazione, il filo conduttore del gioco del lotto pareva solitamente ridursi a tabelle di facile e di immediata consultazione dalle quali far discendere la compatibilità, vincente o meno, con i numeri, giocati in una corrispondente estrazione.
SUPERSTIZIONI OTTOCENTESCHE PER VINCERE AL LOTTO
SUPERSTIZIONI OTTOCENTESCHE PER VINCERE AL LOTTO Nella Roma dell’Ottocento i popolani sapevano che difficilmente  avrebbero potuto dare una svolta alla loro esistenza spesso grama,  a meno di non fare una bella vincita al lotto. Una speranza che si  poteva tramutare in ossessione, con tanto di rituali e preghiere  per conoscere i numeri fortunati. Ad esempio, secondo quanto  riferisce Giggi Zanazzo, per vincere un terno occorreva salire  in ginocchio, naturalmente di notte, la scalinata dell’Aracoeli,  recitando deprofundis e Avemarie e raccomandandosi ai tre Re Magi. Da tutto quello che si vedeva o si sentiva,  si ricavavano i numeri da giocare. Si poteva fare anche un preciso itinerario. Si andava  dalle Carceri Nuove, in via Giulia, per il vicolo del Malpasso,  fino a piazza dei Cerchi, dove si eseguivano le condanne a morte.  "Facenno, insomma la medema strada de quelli che annaveno a  mmorte ar tempo der papa". Ci si portava quindi a San Giovanni  Decollato, la chiesetta dove si seppellivano i giustiziati e ci  si metteva in ginocchio allo scalino sotto alle due finestrelle  con inferriata che fiancheggiano la porta della chiesa.  Notizie che Zanazzo prende anche dal Belli, che continua  così: "La bocca storta / nun fà si senti quarche risponsorio:  / sò l’anime der santo purgatorio. / A San Grigorio /  promette allora de fà dí ’na messa / pell’anima d’un frate  e ’na bbadessa. /  ‘Na callalessa / è der restante: abbasta  de stà attento / a gni rimore che te porta er vento. /   O ffora, o ddrento, / quello che pòi sentí tiello da parte, /  eppoi va’ a cerca in der libbro dell’arte. / Viva er Dio Marte:  / crepi l’invidia e er diavolo d’inferno,  / e buggiaratte si nun vinchi er terno!
Bisognava avere una buona dose di coraggio durante  questa visita notturna a San Giovanni Decollato, perché,  dice Zanazzo, "se racconteno tante pavure che  sse so’ avute pe’ vvia de ll’anime ggiustizziate che sso’  apparse in persona... senza la testa o cco’ la testa  in mano, a quelli che annaveno a ffa’ ‘sta novena! Mamma mia!" Per avere tre numeri sicuri si credeva che bastasse andare  al Verano a prendere un po’ di terra vicino a una croce.  La terra andava posta in una cassetta dove si piantavano  90 chicchi di grano,  numerati con uno stecchino da 1 a 90.  "Ggiocate li primi tre nnummeri indove ce spunteno  le prime tre ppiantine e poi sapéteme a ddì’ ssi nun vincete",  avverte Zanazzo. Quest’ultimo parla anche delle novene  a Sant’Alessio o a San Pantaleone, cui bisognava lasciare  carta e penna per segnare i numeri e che si presentava  come "un santone, un pezzo d’accidentone arto e ggrosso,  che dda pe’ strada arriva a un siconno piano". San Pantaleone,  però, non lasciava i numeri che scriveva a portata di mano,  ma li nascondeva nei posti più strani.Per aver fortuna  al lotto bisognava portare in tasca il trifoglio, o due denti  legati con un filo di seta cruda bagnata di bava di lumaca.  In alternativa si poteva indossare la camiciola portata da un giustiziato.

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