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la STORIA del GIOCO del LOTTO RACCONTATA ATTRAVERSO le FOTOGRAFIE

domenica 29 novembre 2015

LA SMORFIA CHE AVVOLGE L’ESISTENZA

la SMORFIA
La Smorfia che avvolge l’esistenza Vite d'azzardo. La vita come successione di numeri. Il Lotto è il figlio povero della cabala. Nel tempo è diventato un rito collettivo senza distinzioni di classe o geografiche. La tappa di oggi è Napoli, città simbolo di questo gioco
La Smorfia che avvolge l’esistenza Vite d'azzardo. La vita come successione di numeri. Il Lotto è il figlio povero della cabala. Nel tempo è diventato un rito collettivo senza distinzioni di classe o geografiche. La tappa di oggi è Napoli, città simbolo di questo gioco
Il lotto ha una prima forma letteraria, rudimentale, analfabeta, fondata sulla tradizione orale come certe fiabe e certe leggende. Tutti i napoletani che non sanno leggere, vecchi, bimbi, donne, specialmente le donne, conoscono la smorfia, ossia la Chiave dei sogni a memoria e ne fanno speditamente l’applicazione a qualunque sogno o a qualunque cosa della vita reale. Avete sognato un morto? — quarantasette — ma parlava — allora quarantotto — e piangeva — sessantacinque — il che vi ha fatto paura — novanta. Un giovinotto ha una coltellata da una donna? — diciassette, la disgrazia — diciotto, il sangue — quarantuno, il coltello — novanta, il popolo. Cade una casseruola dal suo chiodo, ammala un bimbo, fugge un cavallo, compare un grosso sorcio: numeri, subito. Tutti gli avvenimenti, grandi e piccoli, sono considerati come una misteriosa sorgente di guadagno. Muore una fanciulletta di tifo; la madre giuoca i numeri, escono, ella esclama: m’ha fatte bbene pure murenne! Una moglie parla dell’amore che le portava suo marito, che è morto; poi soggiunge malinconicamente, che se questo amore fosse stato grande, egli le sarebbe comparso in sogno, per darle i numeri; e se n’è scordato, è un ingrato, poichè egli lo sa che essa è poveretta e dovrebbe aiutarla. Salvatore Daniele squarta la Gazzarra: biglietto; il popolo dice: chella è mmorta, mo, almeno ce refrescasse a nnuie, che simmo vive. Salvatore Misdea ammazza sette soldati: biglietto.
La legge ammazza Misdea: biglietto. Su le porte, nei bassi, alle cantonate, i numeri sono discussi da comitati e sottocomitati; il biglietto è stabilito. Non esce: avevano sbagliato, dovevano mettere questo numero e quest’altro, che sono usciti. Questa scienza della smorfia è così profonda, così abituale, che per dare del pazzo a qualcuno si dice: è nu vintiroie (ventidue, matto), e crescendo man mano la collera, tutte le ingiurie avendo un numero relativo, si dicono in gergo del lotto. Una donna dà un pugno ad un’altra, e le rompe la faccia; davanti al giudice, si scolpa, dicendo: m’ha chiammata sittantotto; il giudice deve prendere la smorfia e vedere a che corrisponde di oltraggioso quel numero. La cabala esiste più per le classi superiori che per le inferiori: ma essa vi discende. Certo, nel popolo non si comprano giornali cabalistici, settimanali, dagli strani titoli: il Vero amico, il Tesoro, il Fulmine, il Corno d’abbondanza, che costano dieci lire all’anno di abbonamento, compilati da una redazione ignota; né il popolo corrisponde con quei professori di matematica che abitano al vico Nocelle dodici, o a San Liborio, quarantotto, o a vico Zuroli, tre, e che dànno, nelle quarte pagine, la fortuna a chi paga le dieci lire. Ma qualche cosa vi trapela: il tal signore sa i numeri, lo aspettano nella strada, gli mettono in mano un paio di lire e quello si contenta: è un piccolo affare. L’assistito (dagli spiriti) è un cancro che rode le famiglie borghesi, un convulsionario pallido che mangia molto, che finge di avere o ha delle allucinazioni, che non lavora, che parla per enigmi, che fa credere a delle macerazioni crudeli e che vive alle spalle di coloro che lo venerano. Ma, dalla casa borghese, per mezzo della cameriera, del servo, della lavandaia, la reputazione dell’assistito arriva nel popolo; e l’assistito vi estende la sua azione mistica, vi raccoglie dei guadagni piccoli, ma insperati, vi fa degli adepti e finisce per camminare nelle vie, circondato sempre da quattro o cinque persone, che lo corteggiano e studiano tutte le sue parole.
Ma il grande aiutatore del popolo, la provvidenza del popolo, la sua fede, la sua credenza incrollabile, è il monaco. Il monaco sa i numeri: questo è il domma. Se non li dice, è perché il Signore gli ha proibito di aiutare i peccatori; se li dice, e non escono, è perché nel giuocatore è mancata la vera fede; se li dice e vengon fuori, la novella si spande in un minuto, il povero monaco diventa afflitto da una popolarità pericolosa. È come l’artista che ha fatto un capolavoro: guai se non continua a farne, egli è perduto. Il monaco che ha solamente fatto prendere un ambo, ha speranza di viver quieto: ma colui che ha dato tre numeri e sono usciti tutti tre, stia in guardia. Cercheranno di sedurlo in tutti i modi, coi doni, coi regali di denaro, con le offerte, con le messe, con le elemosine; lo faranno pregare dai bimbi, dalle donne, dalle nonne vecchie; l’aspetteranno in istrada, alla porta della chiesa, presso il confessionale, alla porta del convento; andranno a raccomandarsi a sua madre, a suo fratello, a sua zia; lo assedieranno mattina e sera; lo bastoneranno; lo sequestreranno, torturandolo; lo lasceranno morire di fame, perchè almeno in agonia dia i numeri. Sono cose accadute. Spesso, per salvarsi, un monaco si fa mandare da un paese all’altro, dal suo superiore; scompare, il popolo dice che se lo ha portato via la Madonna.
Il popolo napoletano giuoca per quanto più ha denaro. Per quanto sia povero, trova sempre sei soldi, mezza lira, al sabato, da giuocare; ricorre a tutti gli espedienti, inventa, cerca, finisce per trovare. La sua massima miseria non consiste nel dire che non ha pranzato, consiste nel dire: Nun, m’aggio potuto jucà manco nu viglietto; chi ascolta, ne resta spaventato. Fra il venerdì sera e il sabato mattino, è tutto un agitarsi di gente che vuol giuocare e che non ha denaro; gli operai si fanno anticipare una giornata, le serve rubano orrendamente sulla spesa, i mendicanti nelle vie crescono smisuratamente dal venerdì al sabato, quello che si può ancora vendere, si vende, quello che si può impegnare, si impegna. Anzitutto vi sono i biglietti popolari da giuocare, quelli che si giuocano sempre, perchè è una tradizione, perchè è un obbligo, perchè non se ne può fare a meno: l’ambo famoso, sei e ventidue; il terno famoso, cinque, ventotto, e ottantuno; il terno della Madonna, otto, tredici e ottantaquattro.
Questi terni, per fortuna del governo, non escono che ogni venti anni: quando è uscito, dopo moltissimi anni di attesa, l’ambo sei e ventidue, il governo ha pagato due milioni di piccole vincite, di cinque e di dieci lire l’una; e tutta Napoli si è coperta di tavolelle, vale a dire che tutti hanno pranzato o cenato con la vincita, per ricominciare a giuocare, la settimana dopo, con maggior ardore. E ognuno ha il suo biglietto speciale, che gioca ogni settimana, da anni ed anni, con una fede che mai non crolla: un lustrascarpe ne giuocava uno da trent’anni e glielo aveva lasciato in eredità suo padre, morendo, insieme con la cassetta per lustrare; erano usciti degli ambi, tre o quattro volte, in trent’anni; il terno, mai. Un portinaio ne giuocò uno, per quarantacinque anni, senza prender mai nulla: la prima settimana che per un caso singolare, se ne scordò, il terno uscì – il portinaio morì di dolore. E vi è sempre il biglietto del grande avvenimento, rissa o suicidio, revolverata o veleno; e infine vi è il biglietto cabalistico, quello strappato all’assistito o al monaco. Questi quattro biglietti bisogna giuocarli a ogni modo; rappresentano una media variabile da cinquanta centesimi a due lire la settimana. Quando il napoletano non ha più che due soldi, li va a giuocare al gioco piccolo, o lotto clandestino.
Per lo più le mezzane di questa grande frode, sono le donne. Una di queste, sudicia, lacera, porta in una lunga tasca, sotto la gonnella, un registro: viene il giocatore o la giocatrice, deposita due soldi e dice i numeri: in cambio ha un pezzetto di carta sporca, dove sono scritti col lapis i numeri e la promessa, invariabile: uno scudo l’ambo… quaranta scudi il terno. La donna compie il suo giro nel quartiere, tutti la conoscono, tutti sanno che mestiere fa, tutti l’aspettano: denunziarla? Nessuno l’oserebbe, è una benefattrice. Questi introiti sono larghi naturalmente; a furia di due soldi si arriva a centinaia e centinaia di lire: i tenitori di gioco piccolo arricchiscono quasi tutti. Alla Riviera s’incontrano degli equipaggi di ricchi borghesi, arrivati a questa ricchezza col lotto clandestino; si conoscono perfettamente le persone, ma esse non compaiono, hanno i loro agenti. Il popolano ha una cieca fede in questi tenitori di gioco piccolo: ma bene spesso, nel pomeriggio del sabato, se il tenitore ha da pagare molte vincite, si affretta a sparire, con tutti i suoi registri, e non paga nessuno. Che importa? La settimana appresso un’altra donna ricomincia il suo giro e la gente ci capita di nuovo, come attratta, invincibilmente. Che delizia per chi giuoca e per chi prende i quattrini, frodare il governo!
Ogni tanto la questura arresta quattro o cinque di questi agenti, di queste mezzane, essi sono condannati al carcere, alla multa; che importa? Scontano la pena, pagano la multa, escono, ricominciano da capo, con più ardore. Vi è chi è stato condannato cinque volte per gioco piccolo: e ha un palazzo, e si lagna della persecuzione del governo, e la sua condanna la chiama na disgrazia. L’aver messo il biglietto a due soldi, non è valso a nulla, pel governo: la frode ha continuato, più fiorente, appoggiata su questa grande allucinazione. Ora la statistica porta: che nei giorni di giovedì, venerdì e sabato, avvengono maggiori furti domestici; che in questi tre giorni si fanno più pegni al Monte di Pietà, che in questi tre giorni le agenzie private di pegni, sono affollatissime; che in questi tre giorni, ma specialmente nel pomeriggio del sabato, avvengono maggiori risse; che infine le cose più brutte, più laide, più ignobili e più violente avvengono in questo fatale periodo, e che in questi giorni il popolo napoletano si mette nelle mani dell’usura: il vero cancro, di cui muore.
LA SMORFIA CHE AVVOLGE L’ESISTENZA
Mi ricordo che il sabato a Napoli,  sede di RUOTA, un tranviere in pensione,  tale Conte, era sempre seduto in prima fila  per assistere all'estrazione, eseguita  da un ragazzino bendato da una sorta  di paniere girevole. Teneva i biglietti giocati in bella mostra e, a fine estrazione, con esito  negativo, insultava con epiteti simpatici,  ma anche irriferibili, il povero estrattore  delle palline con i numeri "inutili".  Roba di 50 anni orsono!
l'estrazioni del lotto di una volta
Nei quartieri popolari di Napoli le ricevitorie del Lotto non sono come quelle presso bar e tabaccai, ma piccoli negozi che vendono numeri e l'esercente é testimone e interprete del vissuto nella sua codifica astratta. Ogni cosa puó essere tradotta in combinazioni di numeri: sogni, piccoli fatti del giorno, tragedie altrui, consuetudini, ricorrenze familiari, pettegolezzi… Storie familiari e coincidenze quotidiane cercano soddisfazione nella puntualità del numero, la speranza dà un suo ritmo al tempo.
giacomo casanova

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PAOLO MORELLI - TESI di LAUREA - ANNO 1999/2000 - UNIVERSITA' degli STUDI di FIRENZA - FACOLTA' di GIURISPRUDENZA- RELATORE ANTONIO BARILETTI

PAOLO MORELLI - TESI di LAUREA - ANNO 1990/2000 - UNIVERSITA' degli STUDI di FIRENZA - FACOLTA' di GIURISPRUDENZA- RELATORE ANTONIO BARILETTI
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sabato 28 novembre 2015

EDUARDO PEPPINO e TITINA DE FILIPPO e il GIOCO del LOTTO

udienza dal papa dei de filippo
peppino titna e eduardo de filippo
aneddoto dei de filippo
peppino de fiilippo
luca de filippo
il GIOCO del LOTTO nel TEATRO di EDUARDO: NON TI PAGO,SOGNO D'UNA NOTTE DII MEZZA SBORNIA
natale in casa cupiello
commedia teatrale
cinema
Trama Ferdinando Quagliuolo ha ereditato la gestione di un "banco lotto" dopo la morte del padre; è anche accanito giocatore in cerca di numeri vincenti, a dispetto della sua eccezionale sfortuna. Un suo impiegato, Mario Bertolini, al contrario inanella vincite su vincite, suscitando una feroce invidia nel suo datore di lavoro. Mario fa la corte a sua figlia Stella, quasi a sua insaputa, con la complicità della madre Concetta. Un giorno Mario annuncia la clamorosa vincita di una quaterna del valore di 4.000.000 lire. Per l'occasione rivela che i numeri (1, 2, 3 e 4) li aveva ricevuti in sogno proprio dal defunto padre di Ferdinando, il quale va su tutte le furie: si impossessa del biglietto fortunato, rifiutando di corrispondergli la vincita, e rivendica il diritto alla somma. La motivazione risiede nel fatto che Bertolini era andato a vivere nell'appartamento dove Ferdinando aveva vissuto fino alla morte del padre, quindi lo spirito di suo padre si sarebbe rivolto a Mario per sbaglio, volendo destinare la vincita a suo figlio. Accecato dall'invidia, ma fermamente convinto delle sue idee, Ferdinando si rivolge prima alla legge degli uomini (con l'avvocato Strumillo), quindi alla legge di Dio (con il parroco Don Raffaele), cercando invano alleati. Entrambi - difatti - cercano di convincerlo, senza riuscirci peraltro, che le sue pretese sono irricevibili.
Quindi Ferdinando tenta di estorcere una dichiarazione con la quale Mario rinuncia a ogni diritto sulla vincita, avallando al tempo stesso la propria tesi "onirica". Ferdinando intende minacciarlo con una pistola che, però, fa scaricare dal suo aiutante Aglietiello. Questi, tutt'altro che complice del folle disegno del suo padrino, ne informa Mario, il quale dal canto suo ha già pronta una contromossa per incastrare Ferdinando in presenza di testimoni. Messo alle strette per minaccia a mano armata, Ferdinando si appella alla pistola scarica. Ma un colpo parte, seppure a vuoto, tra lo stupore generale per la tragedia sfiorata. Ferdinando capisce di avere rischiato l'ergastolo: a un Bertolini ancora sotto shock per avere rischiato la vita, rivolge una maledizione davanti al ritratto di suo padre, invocando ogni tipo di incidente e disgrazia qualora si decidesse a ritirare la somma vincente del biglietto che finalmente gli restituisce. I cattivi auspici si verificano puntualmente e impediscono materialmente a Bertolini di ritirare la vincita ogni qualvolta egli tenti. Bertolini è ormai malconcio nel fisico e nello spirito e beffardamente licenziato proprio da Ferdinando per le continue assenze per malattia: si arrende a Ferdinando e gli dà ragione a pieno titolo. Per Ferdinando Quagliuolo è il suo personale trionfo, e adesso può anche concedere a Mario la mano di sua figlia, che porta in dote i 4.000.000 di lire della quaterna. Inoltre rivela che questa reticenza nei suoi confronti, per non essere stato informato apertamente dell'interesse di Mario verso sua figlia, potrebbe essere stata la vera origine del suo ostracismo.
sogno d'una notte di mezza sbornia teatrosogno d'una notte di mezza sbornia cinema
Trama Pasquale Grifone, che vive in un basso con la sua famiglia, riceve in sogno la visita di Dante Alighieri. Il poeta suggerisce all'uomo, annebbiato dai fumi dell'alcol, quattro numeri da giocare al lotto, ma sottolineando che essi rappresentano anche la data della sua morte, che avverrà a breve. Dopo poco tempo, come aveva predetto Dante, i numeri vengono estratti davvero e Pasquale vince una somma considerevole, ma la felicità è offuscata dal dubbio che la predizione fosse giusta anche sulla data della sua dipartita. La famiglia si trasferisce in un costoso appartamento e tutti i componenti, ma in particolare sua moglie Filomena, si comportano, ora, come dei gran signori. L'unico che non riesce a gioire della nuova vita è, ovviamente, Pasquale, terrorizzato dalla sua "imminente" morte. A nulla valgono i tentativi di sua moglie, di suo figlio Arturo e di sua figlia Gina, volti a spazzar via quella che considerano una sciocca superstizione. Il giorno annunciato da Dante, però, la famiglia si veste a lutto: tutti, ormai, sono convinti che quelli sono gli ultimi momenti di vita del padre di famiglia, anche perché Pasquale sostiene di sentirsi molto male. Si attende soltanto l'ora stabilita (le tredici) e, al suo scoccare, Pasquale, preso dal terrore, sviene ed è considerato morto. Entra quindi in scena il medico, il quale si rende conto immediatamente che Pasquale è vivo e vegeto. Questi, preso dall'euforia, invita il medico a pranzo per festeggiare lo scampato pericolo, ma il medico declina l'offerta sostenendo di avere un impegno proprio alle ore tredici. Pasquale e la famiglia lo invitano a rimanere, convinti che le tredici siano ormai passate, ma il medico è implacabile: alle tredici mancano ancora cinque minuti.
 SOGNO D'UNA NOTTE DI MEZZA SBORNIA
sogno d'una notte di mezza sbornia SOGNO D'UNA NOTTE DI MEZZA SBORNIA
sogno d'una notte di mezza sborniasogno d'una notte di mezza sbornia
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